Rettori in guerra contro il governo. Ma poi si alzano lo stipendio

Gli accademici delle Università pubbliche vivono su un altro pianeta. Si lamentano per i tagli, poi però fanno salire le loro indennità

5.1k 15
università Bernini

Alcune volte sembra non sia facile essere coerenti. Basti guardare al comportamento dei rettori delle università pubbliche in presenza, che grazie a quello che nei fatti si muove come fosse il loro organo semi-ufficiale (La Repubblica), sono ormai scesi in guerra contro il governo e – in particolare – contro la ministra Anna Maria Bernini dopo che sono stati decisi stanziamenti molto superiori a quelli degli scorsi anni, ma un 2% al di sotto della cifra attribuita quest’anno alle università statali.

Sembra che i rettori vivano su un altro pianeta, non abbiano la minima idea dello stato miserevole dei conti pubblici e non si pongano alcun problema di fronte alla grave situazione debitoria dello Stato italiano, che rende quanto mai difficili le prospettive dei giovani e, di conseguenza, degli stessi studenti universitari.

Non bastasse questo, a Lecce s’è deciso di aumentare in maniera quanto mai significativa le indennità riservate a rettore e prorettore, che s’aggiungono al loro stipendio di professori. A giudizio della Cgil, infatti, quasi quintuplicare i soldi dati al rettore e quasi triplicare quelli per il prorettore comporterà – insieme agli altri aumenti per i docenti che hanno ruoli all’interno della governance universitaria – un onere di circa 400 mila euro. Poiché la riduzione dei fondi è di 3,5 milioni, la spesa a favore dei due massimi responsabili dell’ateneo e degli soggetti coinvolti a vario titolo aumenta di un altro 11% la somma non più a disposizione. È anche legittimo che un rettore riceva un aumento stipendiale per i carichi di lavoro che si assume, ma sono tutte da dimostrare la legittimità e l’opportunità di un aumento da 25.200 euro a ben 121.000 euro.

Leggi anche:

Nel contrastare la (pur minuscola) riduzione dei fondi statali, i rettori della Crui ovviamente non fanno il minimo riferimento ai loro personali introiti. Purtroppo, però, le cronache sono impietose e la sensazione che ne deriva, alla fine, è sconcertante.

In questo senso ha indubbiamente ragione il sindacato di sinistra, che richiama gli accademici all’ordine nel momento in cui proprio le ristrettezze di questo momento storico esigono che l’offerta agli studenti di servizi di qualità sia anteposta ai benefici che il corpo docente tende spesso ad autoassegnarsi.

L’università esiste in primo luogo per quanti studiano e solo in subordine per i docenti. I secondi devono essere al servizio dei primi, e non viceversa. Poi l’università è pure un luogo di ricerca, che in questo caso deve operare a favore della società nel suo insieme, che è interessata allo sviluppo di nuove conoscenze, e non per soddisfare le pretese di piccoli gruppi baronali.

Un sistema universitario quasi interamente pubblico (finanziato con le imposte) e fittamente regolato dallo Stato anche nelle sue componenti private (al punto che molti atenei non possono, a causa della programmazione triennale, aprire questo o quel corso di laurea) finisce quasi fatalmente per creare simili distorsioni.

Prima si cambia strada, meglio è.

Carlo Lottieri, 11 ottobre 2024

Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version