Il piano da 800 miliardi di euro per il riarmo europeo, promosso da Ursula von der Leyen, rischia di compromettere gli sforzi diplomatici per la pace tra Russia e Ucraina, con Donald Trump che si propone come mediatore. Il tempismo solleva più di un dubbio: varare un massiccio programma militare nel bel mezzo di un possibile accordo di tregua può apparire come una provocazione diretta a Mosca, irrigidendo le posizioni di Vladimir Putin e mettendo a rischio la trattativa.
L’idea di una difesa comune europea non è di per sé una scelta bellicista e merita di essere valutata con serietà. Una riflessione sulla necessità di delegare, nei casi di emergenza, a una guida sovranazionale europea la gestione degli apparati di difesa nazionale non va liquidata come un’eresia. Tuttavia, questo non è il momento opportuno per accelerare in questa direzione. Fra le regole di ingaggio di un eventuale esercito europeo dovrebbe esserci la protezione dei confini dagli ingressi irregolari, che violano l’integrità territoriale degli Stati membri, un aspetto cruciale per la sovranità nazionale e la stabilità interna.
Nei rapporti internazionali, la diplomazia deve prevalere, anteponendo il dialogo negoziale alle relazioni conflittuali. La storia, però, insegna che a mantenere la pace contribuisce anche il principio della deterrenza, che agisce sulla sfera psicologica per impedire che i contrasti degenerino in conflitti. Ma se la deterrenza può avere un senso in un quadro strategico ben definito, un riarmo indiscriminato senza una visione chiara appare come una ripicca al protagonismo di Trump, che sta tentando di pacificare i teatri di guerra.
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Dopo tre anni di guerra, distruzione e migliaia di vittime, la soluzione diplomatica sembra finalmente prendere forma, grazie all’iniziativa di Trump. Ma in un equilibrio così fragile, scegliere di rilanciare la corsa agli armamenti potrebbe significare rinunciare alla pace in nome della militarizzazione.
A rendere il quadro ancora più paradossale è la posizione della sinistra europea: da anni Bruxelles imponeva la rigida osservanza del rapporto debito/PIL, sacrificando investimenti vitali per il welfare. Oggi, invece, ci autorizza a straripare dall’alveo di quell’austero parametro, ma solo per finanziare un colossale riarmo. Dove sono finiti i dogmi dell’austerità? A ciò si aggiunge un’ulteriore beffa: il 64% delle forniture militari degli eserciti europei proviene dagli Stati Uniti, il che significa che una fetta sostanziosa di questi 800 miliardi finirà nelle casse dell’industria bellica americana.
La confusione negli ambienti progressisti è stata rappresentata plasticamente dalla piazza convocata dall’intellettuale al caviale Michele Serra: in quell’adunata si sono mescolate attitudini belliciste e pacifinte, in un paradosso che sfida ogni logica. Sventolare il vessillo variopinto della pace e contemporaneamente sostenere il riarmo europeo in questo momento storico significa alimentare un cortocircuito ideologico e pregiudicare il tentativo di distensione dei rapporti fra Putin e Zelensky.
Andrea Amata, 17 marzo 2025
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