I cicli economici, si sa, presentano andamenti altalenanti più o meno lunghi, più o meno prosperi o difficoltosi. Questi cicli sono difficili da prevedere (argomento su cui torneremo nei prossimi articoli), mentre meno difficile è verificare quali siano stati gli effetti generati, di volta in volta, dai rimedi praticati nei periodi di crisi.
Scriveva Sergio Ricossa a questo proposito: “Il ciclo degli affari è inevitabile: anche quando l’attività economica si sviluppa, vi sono momenti di pausa, di crisi delle vendite, di deflazione. L’importante è che la crisi non degeneri in grande crisi mondiale, come avvenne a partire dal 1929 per colpa di una serie di errori politici. Keynes non fiutò l’arrivo del 1929 e del suo corteo di guai. Quando se ne accorse, alternò l’ottimismo al pessimismo, che è un modo per avere sempre ragione” (Maledetti economisti , Rizzoli 1996).
A quel punto Keynes divenne il riferimento per porre rimedio a tutto ciò, creando una discendenza di economisti “più keynesiani di Keynes” , che , con un colpo al cerchio e uno alla botte (fornite sempre dal contribuente) diedero vita a previsioni “alternate” e a provvedimenti “originali” che restano in voga tutt’ora:” Il 24 ottobre 1929 crollò la borsa di New York; il giorno seguente Keynes dichiarò al “New York Evening Post” che il futuro era “decisamente incoraggiante”[…] Intanto il numero dei disoccupati cresceva paurosamente, e i governi, keynesiani prima di Keynes, facevano quel che da secoli, dai faraoni in poi, avevano fatto in simili circostanze, cioè espandevano i lavori pubblici. Keynes non ebbe nulla da aggiungere sul piano pratico”. [Ibid]
Naturalmente espandere i lavori e la spesa pubblica implica il fatto che quei soldi vanno prelevati da qualcuno (o presi a prestito, generando un debito che poi qualcuno dovrà pagare) per essere distribuiti poi, con criteri politici e arbitrari, nelle varie voci di spesa.
Singolare è il caso in cui il carico fiscale metta in difficoltà chi produce e crea lavoro, e con quel prelievo si intenda poi assistere chi quel lavoro lo perderà.
Interessante il richiamo di Ricossa al mitico film di John Landis: “Film istruttivo: rivedo con sollazzo i Blues Brothers. Jake ed Elwood Blues non sono stinchi di santo, ma salvano il “loro” orfanotrofio che sta per chiudere. Sta per chiudere perché il fisco cosiddetto sociale lo ha caricato di imposte e tasse, che le monache non possono sopportare. Purtroppo il lieto fine c’è solo al cinema. Il film di John Landis uscì in America nel 1980, una America pronta ad eleggere Reagan, che era un attore come John Belushi e Dan Aykroyd, gli interpreti dei due fratelli”. (Come si manda in rovina un paese – Rizzoli, 1995).
Suore in difficoltà nel fare assistenza privata e volontaria perché tassate da qualcuno che magari vorrebbe usare quei soldi per fare assistenza pubblica e obbligatoria. In giorni come questi in cui si polemizza sull’impiego di attori stranieri, non sarebbe male invece riavere indietro (in prestito per qualche tempo) Reagan e i fratelli Blues!
Fabrizio Bonali, 7 settembre 2023
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