Ieri la procura di Milano è intervenuta in modo clamoroso sull’annosa questione dell’inquadramento lavorativo dei cosiddetti rider. Ha messo sotto inchiesta boss, amministratori delegati e presidenti delle più importanti piattaforme di consegna a casa di cibo e non solo. Ha inoltre previsto una serie di reati contravvenzionali per 771 milioni di euro. Roba da far tremare i polsi.
I nuovi fattorini del cibo, diventati indispensabili in periodo di lockdown, sono oggi inquadrati come lavoratori autonomi. Solo di recente ha visto la luce un contratto collettivo nazionale, che ne ha aumentato le tutele e regolato il lavoro. Ma sempre nell’alveo del lavoro autonomo. L’ex ministro grillino del Lavoro, con la sponda della Cgil, non ha mai amato quell’inquadramento e ha sempre spinto affinché i vari Deliveroo o Glovo assumessero come lavoratori subordinati i rider. La Procura di Milano ha scelto la via di mezzo: il loro lavoro è di tipo parasubordinato, dunque non autonomo, anche se non del tutto dipendente.
Proprio in virtù di questa impostazione, le piattaforme dei rider non avrebbero rispettato tutta una serie di norme sulla sicurezza che si applicano ai parasubordinati e per questo si beccano inchiesta penale e multe stellari. A grandi linee si può dire che la Procura contesta dei reati, in virtù di una para-subordinazione, che lei stessa stabilisce. Si tratta di un’accusa. Occorre una sentenza. E, per di più, sarebbe necessario un giudice del lavoro che qualifichi il rapporto. Solo recentemente, a Firenze, un magistrato specializzato ha perfettamente indicato nel lavoro autonomo la casella in cui inquadrare i rider. Si tratta di tecnicalità. La sostanza è l’intervento in economia della giustizia penale, anzi dell’accusa. Il procuratore capo Greco ha evocato il termine “schiavi”.