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Riecco le sardine (alla faccia della zona rossa)

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Mai dire mai. Avevamo pensato tutti che, venuta meno la pregiudiziale antisalviniana, sconfitta dagli eventi, che era in definitiva la loro unica ragion d’essere, il movimento delle Sardine, cioè dei giovani dalle “poche idee ma confuse” che avevano fiancheggiato per un periodo il Partito Democratico, si sarebbe subissato in fondo al mare, sovrastato dalle acque di una politica che prova con Draghi a riacquistare un po’ di spessore o sostanza. Una vera moria di pesci. Aver poi visto Mattia Santori farsi testimonial della mortadella, per quanto la cosa suscitasse simbolici accostamenti nella nostra testa, ci aveva confermato nell’affrettata previsione.

E invece no. Con un tempismo senza dubbio apprezzabile, le Sardine rispuntano ora all’improvviso, con obiettivi rivisti e aggiornati. Scendono a Roma, incuranti delle regole che vieterebbero gli spostamenti fra regioni, e fanno bivacco intorno al Nazareno, assembrandosi anche ma rigorosamente “tamponati” (ci hanno fatto bontà loro sapere). In verità, più che come Sardine questa volta si presentano come avvoltoi, quelle bestie che compaiono all’orizzonte (si dice) quando comincia a sentirsi puzza di cadavere. E lo fanno per sottrarre tutto quanto è possibile alle “spoglie immemori”, come direbbe il Manzoni, del perituro. In verità, fatta la tara del forse non elegante paragone, l’agonizzante è questa volta il loro stesso datore di lavoro, quella “Ditta” verso la quale essi si pongono come il “soccorso rosso” di certe infauste memorie italiche. Solo che, a ben vedere, è un po’ come se fosse Dracula che si propone come l’Avis al malato grave e senza più sangue nelle vene.

Fuor di metafora, le Sardine sono il veleno, o uno dei veleni, che stanno facendo morire il Partito che fu dei lavoratori e oggi lo è della Ztl, e non la medicina che può salvarlo. La malattia è la più brutta che possa esserci per un partito politico, e cioè la mancanza di identità, e quindi di un fine o obiettivo condiviso che giustifichi lo stare insieme per fare politica. Un elemento che, se manca, fa restare sul terreno un solo scopo: il potere per il potere, e cioè occupare posti di governo e sottogoverno per sé e per gli amici.

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