La diciottesima legislatura scade nel 2023. Poco meno di due anni. Non sono pochi, un’eternità per i tempi della politica italiana. Tutto il tempo per fare le riforme chieste dall’Europa per accompagnare il Pnrr, e magari per una riforma tutta italiana e non meno urgente: la riforma della Costituzione.
Sarà la più bella Carta del mondo, la migliore, la più appassionante – secondo la lettura fervorosa di Roberto Benigni – ma probabilmente una delle meno efficienti. Che sia così per sua natura intrinseca, o che lo sia diventata (siamo prossimi al compleanno, il prossimo 2 giugno) per il logorio incessante della “partitocrazia” (per dirla con la parola inventata già negli anni Cinquanta, che poi Marco Pannella si intestò), resta il fatto che avere contabilizzato più di 60 governi in una settantina d’anni di vita repubblicana denuncia o un eccesso di flessibilità delle norme, o una ribalda spavalderia in chi le ha utilizzate. E quindi una carenza di quegli imprescindibili pesi e contrappesi della democrazia formale.
Si dirà che cinque anni fa Matteo Renzi ci provò. Il referendum andò come si sa, ma al netto della qualità del quesito referendario, l’ex segretario del Pd ci mise la sua carica divisiva. Oggi sotto il cielo repubblicano stiamo vivendo una condizione diversa. Innanzitutto, non c’è un uomo solo al comando, ce ne sono almeno due: Sergio Mattarella e Mario Draghi. Nessuno dei due è leader di partito. Entrambi godono, a ragione, della stima e della fiducia di gran parte degli italiani. E dietro di loro un Parlamento che, se non proprio armonico, sembra votato all’intesa obbligata. Anche perché ci sono loro due.
Credo che sia un’occasione da non perdere, non solo per fare i “compiti a casa” (le riforme richieste per ricevere i fondi del Recovery Plan), ma per rimettere mano alle regole della “casa”. L’architettura costituzionale ha bisogno di una sistemazione profonda, non di facciata: dai poteri della magistratura al ruolo degli enti locali. Secondo la vulgata siamo alla Terza Repubblica. Ma sempre con la stessa Costituzione (modificata solo per il titolo V). E qui la dice lunga la sopravvenienza delle parole sui fatti. I fatti, come i dati, hanno la testa dura. C’è bisogno di loro. E c’è bisogno di investire sul tempo, senza sprecarlo. Diamoci un orizzonte temporale e un progetto. E due auspici.
Primo auspicio: il presidente Mattarella accetti la richiesta dei partiti che gli hanno chiesto e gli chiederanno un rinnovo dell’incarico: resti ancora almeno alla fine della legislatura a vigilare l’ultimo scorcio di vita del Parlamento dei mille.
Secondo auspicio: sotto lo sguardo operoso di un Mattarella vigilante fino al 2023, il governo Draghi metta mano a una riforma della Costituzione che risolva i nodi di inefficienza che ci hanno costretto a cambiare governi e coalizioni nello spirito del Gattopardo: tutto cambia perché tutto resti come prima. Abbiamo bisogno che cambi quello che serve affinché nulla sia più come prima.
Una riforma costituzionale votata in Parlamento con la maggioranza del governo Draghi, quella del Pnrr, eviterebbe il referendum e consegnerebbe alla diciannovesima legislatura non solo un Parlamento light, ma una Carta adeguata, affinché il Paese possa affrontare le sfide di un mondo più veloce, più giovane e più sostenibile. Non ce lo chiede l’Europa. Ma credo che lo vorrebbero molti italiani.
Antonio Mastrapasqua, 29 maggio 2021