Politica

Riforme, c’è uno spiraglio: le tre opzioni (e la sorpresa nel sondaggio)

Oggi l’incontro tra governo e opposizioni. Conte, Calenda e Schlein faccia a faccia con Meloni su presidenzialismo o premierato

Meloni Conte Schlein incontro sulle riforme

Il percorso è lungo e il sentiero tortuoso. Se ne parla dagli anni della prima Bicamerale, un’era geologica fa, eppure non si è mai arrivati davvero ad una modifica sostanziale della Carta. Sull’altare della “Costituzione più bella del mondo”, principio più che discutibile, si sono rotti la testa prima il governo Berlusconi e poi quello Renzi. Giorgia Meloni adesso ci riprova: non si sa bene se punterà sul presidenzialismo all’americana, su quello alla francese, sul premierato o su chissà quale invenzione all’italiana. Però intanto ha incontrato le opposizioni per provare ad annusarne gli umori, in particolare di quei partiti che potrebbero quantomeno evitare di mettersi di traverso. Leggi Italia Viva e Azione.

Le tre opzioni della Meloni

Partiamo da Fratelli d’Italia per capire “chi vuole cosa” e soprattutto quali spiragli potrebbero aprirsi. Nel programma elettorale della Meloni era scritto chiaramente che la madre di tutte le riforme, quella costituzionale, sarebbe dovuta partire prima possibile. Ci siamo. Parlando con le opposizioni, il premier ha messo le carte sul tavolo. Gli scenari possibili al momento sono tre: il sistema presidenziale, cioè con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica che diventerebbe anche il capo del governo, proprio come negli Usa; il sistema semipresidenziale, con la scelta del presidente della Repubblica da parte degli elettori e poi questi che nomina un capo del governo, come sul modello francese; infine, l’opzione del “premierato”, con l’elezione diretta del presidente del consiglio e con la nomina da parte del Parlamento di un Capo dello Stato con ruolo super partes e di contrappeso. Al momento, ai partiti che oggi sono andati alle consultazioni, Meloni non ha fornito preferenze perché prima intende “capire se c’è margine per trovare una sintesi anche con le forze dell’opposizione”. Qualora invece trovasse il muro contro muro, il centrodestra andrà avanti lo stesso. Sperando di convincere gli italiani al referendum confermativo.

Il M5S dice “no”, però…

Il primo a bussare alla porta del premier è stato Giuseppe Conte. Di positivo c’è che il M5S condivide “le criticità” sulla forte instabilità dei governi, ed è pure d’accordo a “rafforzare i poteri del premier”, però si dice contrario – almeno al momento – sia all’elezione diretta del capo dello Stato che a quella del premier. Un paradosso, considerato che il Movimento nacque con lo spirito della massima partecipazione dei cittadini e col mito della democrazia diretta. Ma tant’è. Conte vorrebbe una “commissione ad hoc” per discutere delle riforme, ipotesi su cui il governo non chiude la porta a patto che “non ci siano intenti dilatori”. Insomma: il Movimento non sarà un alleato, ma forse l’incontro poteva andare pure peggio.

Italia Viva e Azione

Nonostante i dissidi interni, e il progetto del partito unico ormai naufragato, Iv e Azione si sono presentate insieme all’appuntamento con Meloni. Hanno varcato la soglia della biblioteca del presidente a Montecitorio Carlo Calenda, Matteo Richetti, Raffaella Paita e Maria Elena Boschi. Assente Matteo Renzi, ora impegnato anche con la direzione del Riformista. Le aperture del Terzo Polo erano già arrivate nei giorni scorsi: Iv e Azione sono “favorevoli al sindaco d’Italia” e non intendono neppure “impiccarsi al metodo”, tipo la bicamerale. L’unico paletto posto da Calenda è quello del Capo dello Stato che “non si tocca”. Una sorta di “linea rossa” che fa da contraltare ad un’altra richiesta del Terzo Polo, ovvero il superamento del bicameralismo paritario che eviti alle leggi di andare avanti e indietro da Montecitorio al Senato.

+ Europa

Nessun assist, invece, dalle parti di +Europa. Non che i numeri del partitino di Magi e Dalla Vedova servano davvero ad approvare le riforme, ma  a quelle latitudini il “sindaco d’Italia” è considerato “una sciocchezza”. La preferenza riguarda piuttosto il modello tedesco, rafforzando i poteri del premier sulla nomina dei ministri e soprattutto inserendo il dispositivo della sfiducia costruttiva.

La Lega

Se Forza Italia si è già espressa per voce di Antonio Tajani a favore del premierato, la Lega aspetta a sbilanciarsi. Alle consultazioni era presente anche Matteo Salvini, ma intanto da fuori il capogruppo Riccardo Molinari iniziava a fissare i primi paletti. Il Carroccio “condivide la scelta di avviare la concertazione con le opposizioni” ma ricorda che nel programma del centrodestra era stata inserita “l’elezione diretta del Presidente della Repubblica”. Dunque, “se si vuole virare sull’elezione del premier” allora la Lega chiede “che vengano mantenute le garanzie sul ruolo del Parlamento”. Un mezzo avviso ai naviganti.

Il Pd di Schlein che fa?

E il Pd? Mentre Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi Sinistra non ritiene necessarie “misure che rafforzino ancora di più l’esecutivo”, e conferma la “netta contrarietà” alle proposte ventilate da FdI, nel Partito Democratico il dibattito è aperto. I dem saranno “responsabili”, assicurano, ma l’idea prevalente è quella di dire “no” sia all’ipotesi del presidenzialismo che a quella del premierato con l’elezione diretta del presidente del Consiglio. I dem sarebbero però disponibili a ragionare su un premierato alla tedesca, ovvero senza elezione diretta ma attribuendo al premier più poteri: dalla sfiducia costruttiva al potere di revoca dei ministri passando per la possibilità di sciogliere le Camere.

Il sondaggio

È chiaro: siamo ancora agli inizi. Ed è facile che negli anni (tanto ci vorrà per arrivare alla meta) le posizioni dei partiti possano aggiustarsi. Però intanto i desiderata dei cittadini sembrano chiari se si legge il sondaggio realizzato da Euromedia research e pubblicato da Porta a Porta. Sul presidenzialismo, dicono i dati, è favorevole il 46,6% degli intervistati contro il 36,8% di contrari. Sul premierato i numeri sono simili: è favorevole il 42% degli italiani, contrario il 32,4%. Al netto dei tanti indecisi (16,6% nel primo caso, 25,6% nel secondo), l’elezione diretta del governo non sembra dispiacere alla maggioranza degli elettori. Resta ora da capire come il governo riuscirà a far quadrare i conti.