Oggi l’indimenticabile (si fa per dire) rubrica di Paolo Berizzi ha distolto per una volta l’attenzione dal pericolo fascismo (fassisti, fassisti ovunque) per occuparsi di questo nostro sito.
Avremmo pure fatto a meno di segnalarlo, se non fosse che ci siamo accorti di un dettaglio mica da niente. Roba da matita blu. Se la qualità di un giornalista la si vede dal controllo delle fonti, se non proprio della verità dei fatti, ci vien da dire che forse allora queste due condizioni necessarie e sufficienti non sono nella piena dotazione di Paolo Berizzi. Almeno in questo caso.
Su Repubblica il cronista attribuisce a Nicola Porro la paternità di alcune frasi in merito al caso di Keith Caputo, il rocker che, diventato trans, adesso ha deciso di tornare uomo. Testuale: queste sono “le espressioni utilizzate dal giornalista e conduttore televisivo per commentare il caso”. Di più: “Ma Porro nel suo blog si scaglia contro l’artista bollando come fuffa la distrofia di genere”. E ancora: “La delicata chiosa finale di Porro è…”. Sbagliato. Non c’è nessuna “chiosa finale di Porro”. Sarebbe infatti bastato leggere con un minimo di attenzione in più, livello terza elementare, per notare chiaramente che il pezzo riportava (per ben due volte) la firma di un collaboratore. E mai quello del titolare di questo giornale. Se Berizzi non si fida di noi, può sempre cliccare qui e verificare di persona, anche se forse avrebbe dovuto farlo prima di mettersi alla scrivania a vergare la sua “pietra”.
Se c’è una cosa di cui ci vantiamo è che su queste colonne siamo liberi di scrivere quello che vogliamo senza dover attendere alcuna direttiva né da Porro né da altri. Non abbiamo bisogno, insomma, di fare le contorsioni a cui si è piegata stamattina La Stampa (sempre del Gruppo Gedi di proprietà degli Elkann a cui appartiene anche Repubblica) che nel bel mezzo del caos Stellantis-Tavares fa finta di nulla, fischietta e apre il giornale sul “nuovo piano Ue per le auto”.
Tornando a Berizzi, al di là del merito dell’articolo, delle due l’una: o il suddetto giornalista ha scientemente attribuito a Porro le frasi che appartengono ad un altro autore (il che sarebbe grave); oppure a quanto pare non è capace neanche di copiare una firma (e forse sarebbe pure peggio). Ce lo immaginiamo al banco di scuola a ricalcare, talmente ingobbito per la bisogna, la versione dal compagno di banco, facendola diventare propria.
Ps: vista l’attenzione indignata e scandalizzata dedicata a questo nostro sito per il pezzo sulla transizione di Keith Caputo, restiamo in attesa di una bella rubrichetta per censurare il collega di scrivania Filippo Ceccarelli. Il quale in diretta tv ha storpiato il nome di “Atreju” in “‘A troia”, non proprio il massimo dell’educazione per l’editorialista di un giornale che un giorno sì e l’altro pure ci fa la morale su patriarcato, maschilismo, sessismo e buona educazione. Tranquillizziamo Berizzi: quella frase l’ha detta proprio Ceccarelli. Abbiamo controllato il video.