La tragedia della notte di sabato 21 dicembre con due sedicenni decedute investite da un’auto a Roma, in città, mentre attraversavano la strada, rinnova il mio convincimento che l’Italia si mostra incapace di affrontare un pressante problema e ridurre queste tragedie. È vero che esse hanno in genere molteplici cause e concause, ma ve n’è una in particolare che viene, volontariamente, minimizzata, quando non proprio taciuta, da tutti noi, massimamente dagli organi d’informazione. Devo dire di non capirne la ragione, anche se sicuramente ci sarà. Parlo della velocità.
A sostegno della mia congettura, ecco come l’agenzia Ansa, senza vergogna, lancia la notizia: “spiega” l’Ansa, nel suo comunicato, che quella luogo della tragedia (apposta non lo chiamo io “incidente”) è “una strada a scorrimento veloce”. Ma siffatte strade non esistono, se non per l’Ansa: in città, come nel caso in parola, il limite è 50 km/h. Avrebbe dovuto scrivere l’Ansa: la tragedia è occorsa in “una strada con limite di 50 km/h”. Invece, anche per gli altri organi d’informazione, tutto ha concorso alla tragedia: l’investitore era sotto effetto di alcol e/o droga, forse stava usando il telefono, era buio, pioveva, il selciato era bagnato, la strada è dissestata, è a scorrimento veloce, perfino “i pedoni avevano la loro dose di responsabilità”. Nessuno che centri il padre vero della tragedia: l’eccesso di velocità.
Per il bene nostro e dei nostri cari, vorrei invitare tutti a guardare le cose da un punto di vista diverso. Anche se le cause di un incidente possono essere molteplici, il suo esito fatale dipende quasi esclusivamente dalla velocità d’impatto. Conosco quel tratto di Corso Francia a Roma: a dispetto del limite le auto, di giorno e vieppiù di notte, viaggiano tranquillamente a 90 e oltre km/h. E questo era il caso della recente tragedia. Avesse l’investitore rispettato i limiti – e anzi li avesse ridotti, visto che, appunto, era buio e il selciato bagnato – sicuramente non avrebbe investito nessuno. Non dico a vanvera: un altro automobilista, che viaggiava a velocità ridotta, aveva potuto vedere le ragazze e s’era fermato per farle passare.
Quasi tutti noi almeno una volta abbiamo trasgredito i limiti di velocità, e ognuno di noi dovremmo ricevere nel corso della vita una salutare multa per questo: dopo la prima, difficilmente ne beccheremo una seconda e, se accade, quasi sicuramente non beccheremo la terza. Parlo a vanvera? No. È da circa 20 anni che nel nostro Paese s’installano autovelox quasi a tappeto. Gli introiti dalle multe sono cifre consistenti (da capogiro, scrivono i giornali). Il fatto è che nelle strade italiane i morti furono 7100 nel 2001 e si sono costantemente ridotti fin a diventare 3400 nel 2014. Dimezzati! Senza l’effetto deterrente del timore della multa, se fino al 2014 ci fossero stati gli oltre 7000 morti del 2001, avremmo avuto 24 mila morti in più. Fatemelo ripetere: 24 mila! Ognuno di noi o dei nostri cari potrebbe essere tra costoro, vittima non solo di un proprio comportamento pericoloso, ma anche di comportamenti pericolosi altrui. Certo, avranno concorso anche altre cause alla riduzione dei morti, ma il fatto è che si muore soprattutto se l’impatto è violento.
Viva l’autovelox, quindi? Io dico di sì, ma da noi esso è quasi una farsa. Ci manca poco che la sua presenza sia annunciata dalla banda musicale del paese. I multati, anziché scusarsi (o almeno tacere) e pagare, da noi ci organizzano in comitati e intentiamo ricorsi, fino alla Cassazione, rivendicando l’assenza di annunci, a nostro dire, non sufficientemente adeguati. L’autovelox è uno strumento «per fare cassa», è il mantra ripetuto fino alla noia. Nessuno pensa che se non si desideri rimpinguare così le casse dei Comuni, basterebbe solo rispettare i limiti. Poi, mi verrebbe da dire che è giusto che i Comuni «facciano cassa», intendendo con ciò che chi contravviene una regola che la società si dà, deve pagare il proprio debito sociale. Questa è civiltà. Nel caso specifico, una multa: lieve se il superamento del limite è lieve e una multa pesante se il superamento del limite è pesante. Il debito sociale da pagare è quello di chi col proprio comportamento ha messo in pericolo la vita altrui.
Durante i 6 anni che ho vissuto in America, una volta fui beccato ad andare a 42 mi/h anziché ai prescritti 35 mi/h. Non ci crederete, ma subii un regolare processo in tribunale, pagai $60 di multa e mi ritirarono la patente per 2 mesi. All’inizio fui molto scocciato, ma a pensarci bene conclusi che con quei controlli la mia vita era più al sicuro, e per il futuro – santa sanzione! – sono stato più attento a rispettare i limiti.
Allora, anche se ai vivi che leggono non piacerà, lo dico lo stesso: l’uso dell’autovelox è un segno di civiltà, viva l’autovelox! Molti protesteranno e avranno parere diverso. Peccato non vi sia la possibilità di chiedere ai morti parere in proposito.
Franco Battaglia, 23 dicembre 2019