So benissimo che questa è una rubrica che si occupa di libri e vorrei anticipare (si chiama conflitto di interessi) un libro che sto scrivendo su Antonio Martino per Piemme. Mi sembra il caso di farlo, perché ho recuperato un articolo, che il professore, recentemente scomparso, scrisse esattamente trenta anni fa su questo giornale. E che oggi mi sembra più attuale che mai.
Scriveva Martino: «Il grande economista canadese Harry Johnson soleva ripetere: l’opinione pubblica dedica molta energia e considerevole indignazione morale ad attaccare i sintomi anziché le cause dei nostri problemi sociali. La validità di questa osservazione di Johnson mi sembra confermata dallo stato del dibattito politico nell’Italia di oggi. Prevale l’idea che la causa di tutti i nostri problemi sia il sistema elettorale: la proporzionale, si dice, ha creato la partitocrazia con tutti gli inconvenienti che conosciamo. Da qui l’ovvia soluzione: riformiamo il sistema elettorale, abbandoniamo la proporzionale e ci libereremo della partitocrazia e dei nostri problemi. Lungi da me l’accusa di voler difendere questo sistema elettorale o negare la desiderabilità di una sua riforma. Tuttavia a me sembra che la crisi del sistema elettorale sia il sintomo non la causa del problema e che, quindi, la riforma elettorale non rappresenti una soluzione».
Oggi siamo daccapo con la critica aspra del sistema elettorale Rosatellum, che rischia, secondo i critici, di lasciare in mano alla destra il governo del Paese. Martino notava, per un sistema che non amava affatto: le critiche ai sistemi elettorali non sono altro che la conseguenza dello straripamento dell’ambito di intervento pubblico ai danni della società contemporanea. Confermando la validità della tesi di Johnson, l’opinione pubblica critica il modo in cui i rappresentanti politici vengono eletti, quando in realtà ad essere sotto accusa dovrebbe essere lo strapotere della politica. Diamo la colpa della bruttezza del bambino alla levatrice: il problema non è come dire chi eleggiamo ma cosa possono fare una volta eletti. Se la linea di demarcazione fra ambito politico burocratico e libertà personale non è chiaramente definita e rigidamente rispettata, la politica crescerà il suo potere ai nostri danni.
Riformiamo quindi il sistema elettorale ma non dimentichiamo che il problema vero è un altro, è che nessun sistema elettorale può rendere accettabile un livello di statalismo pari a quello attuale che costringe l’italiano medio a lavorare, almeno per metà della sua vita, per lo Stato e solo per quel che resta per sé e per la sua famiglia. Per dirla con Tocqueville: «La natura del padrone interessa assai meno del dovere dell’obbedienza».
Nicola Porro, Il Giornale, 11 settembre 2022