Beppe Sala, il sindaco di Milano, ieri ha rilasciato un’intervista piuttosto incredibile al Corriere della Sera. Il sindaco ha detto: «Il mio pensiero politico è trovare le forme per riumanizzare la città che non deve solo correre per 24 ore di fila. Per me gli esercizi aperti giorno e notte sono un errore. L’idea di rallentare credo piaccia a tutti».
Non so in quale mondo viva oggi il sindaco di Milano, ma so benissimo il mondo da cui proviene: che è un mondo veloce, efficiente, ricco e che non si dà pausa. Un mondo che ha dovuto costruire in pochissimo tempo un Expo, che altrimenti le lentezze di tutti avrebbe distrutto.
Qualcosa deve essere cambiato oggi.
In Italia il problema non è certo la velocità con cui gira, semmai la lentezza con cui si muove. La lentezza della giustizia, del primo impiego, delle tecnologie, delle opere pubbliche. Lo stesso sindaco aveva come suo slogan elettorale «Pensiamo al Futuro».
Dubitiamo che fosse solo un invito alla riflessione, piuttosto un aggancio alla contemporaneità.
Milano è una delle città più dinamiche dell’Italia, proprio per la sua velocità. Che le permette di essere florida e bene organizzata. È una città delle opportunità, i suoi abitanti guardano più Londra e New York che, con tutto il rispetto, a Roma.
Bella parola quella di «riumanizzare». Ma è forse più umana la lentezza di una parte d’Italia, che non crea opportunità, che non ha impresa, che non ha negozi notturni, ma che in compenso ha traffico, burocrazia e una pletora di professionisti alla ricerca di un cliente da assistere?
Milano è una città in cui tutto è più facile, in cui tutto sembra più veloce, in cui persino la burocrazia che per definizione è lenta, cioè burocratica, diventa più snella. Se il sindaco si «desse una mossa» a concludere scavi e costruzione della metropolitana, velocemente, renderebbe tutto più facile e «umanizzante».
Esiste però un piccolo club di milanesi, a cui evidentemente fa riferimento Sala. Sono coloro che si possono permettere la lentezza. Sono coloro che devono la loro ricchezza ai loro velocissimi antenati. Che in anni non sospetti, dopo la guerra, realizzarono velocemente grandi fortune e che la lentezza dei figli ha dissipato.
Dunque questo elogio della lentezza, questo snobismo della pedalata in bicicletta con i fiorellini, del mangiare slow e caro, dell’agenda puntellata da mostre, è un lusso che si possono permettere soltanto pochi.
Se ci possiamo permettere un’altra critica, il sindaco più di preoccuparsi di rallentare noi privati cittadini, dovrebbe provare a velocizzare i processi pubblici che lo riguardano. E provare a diffondere un modello, quello milanese, che è uno dei pochi di successo in questo lentissimo Paese.
Nicola Porro, Il Giornale 25 ottobre 2017