Un inedito Giuseppe Conte in versione showman dà spettacolo a Montecitorio. O meglio, più che di un vero e proprio spettacolo si potrebbe parlare di un’esibizione tragicomica, tanto inutile quanto indecorosa. Dopo la sonora bocciatura dell’emendamento sul salario minimo presentato dalle opposizioni che puntava a riscrivere la legge delega voluta dalla maggioranza, il leader pentastellato perde letteralmente le staffe. In aula alza i toni, s’indigna, grida “vergogna”, strappa platealmente il cartaceo del testo della nuova proposta, punta dritto il dito contro il governo, reo di aver voltato le spalle a quasi quattro milioni di lavoratori. Un autentico show, insomma, ad alto impatto mediatico, ma di bassissimo livello istituzionale.
L’esatto opposto di ciò che ci si aspetterebbe da chi ha ricoperto per ben due volte la carica di presidente del Consiglio dei ministri e ora guida la terza forza politica del paese. Non solo. Perché oltre a palesare scarsa sobrietà e una totale assenza di garbo istituzionale, il presidente dei Cinque Stelle dimostra al contempo di possedere anche una certa paraculaggine mista a una dose non indifferente di incoerenza, il tutto condito da una memoria sorprendentemente breve. Poiché, è bene ricordarlo, quel Giuseppe Conte che oggi si scaglia con così tanta veemenza contro Giorgia Meloni, accusandola di voler calpestare la dignità dei lavoratori, è lo stesso che nel recente passato ha guidato ben due esecutivi di colore diverso (l’ultimo dei quali con il sostegno politico proprio di quel Pd oggi alleato d’opposizione dei Cinque stelle), restando in carica per quasi mille giorni consecutivi, 988 per l’esattezza, più altri 616 da azionista di maggioranza del governo Draghi (il M5s era numericamente il primo gruppo parlamentare a sostenere l’esecutivo).
In totale fanno 1604 giorni in cui Giuseppe Conte avrebbe tranquillamente potuto proporre, e persino adottare, qualsivoglia provvedimento a tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori, ivi compreso il cotanto invocato salario minimo. Stranamente, però, nulla è stato fatto dai pentastellati in tal senso, avendo essi stessi preferito l’assistenzialismo a pioggia del reddito di cittadinanza, che così tanti disincentivi al lavoro ha creato nell’ultimo quadriennio, rispetto alla norma che avrebbe potuto regolare la retribuzione minima oraria.
Ebbene sì, proprio colui che ha volutamente scelto di sacrificare il lavoro sull’altare del consenso elettorale, sostituendolo con un’indiscriminata (e alquanto costosa) politica di sussidi, ora vorrebbe salire in cattedra ed ergersi a paladino dei lavoratori. E invece no caro Conte, plachi pure i bollenti spiriti e ci risparmi carnevalate di cattivo gusto e inutili invettive. Piuttosto, ci spieghi perché mai in 1604 giorni vissuti da assoluto protagonista sulla scena politica nazionale non è riuscito a trovare il tempo per far approvare uno straccio di provvedimento che introducesse un salario minimo legale nel nostro paese.
Di certo, non vi sono mancati né il tempo né i numeri in Parlamento, come dimostra la stessa introduzione del rdc, bensì la volontà politica. Per cui, niente lezioncine, in tema di lavoro non siete proprio nelle condizioni di farlo. Al massimo parlateci di sussidi, vi riesce meglio.
Salvatore Di Bartolo, 7 dicembre 2023