Politica

Salis libera, alla faccia degli 861 in attesa di giudizio all’estero

Salis libera © 89Stocker tramite Canva.com

Avrei voluto la sollevazione che c’è stata in questi mesi per Ilaria Salis anche per Niccolò Figà Talamanca – che poi poteva esser candidato pure lui no?

Secondo gli ultimi dati diffusi dal nostro Ministero degli Esteri nel settembre scorso, nel 2021 erano 2058 le persone con passaporto italiano in carcere all’estero, di queste 861 erano in attesa di giudizio, 31 in attesa di estradizione e 1166 con sentenza definitiva. La maggior parte (1526) è detenuta in Unione europea: 713 in Germania, 230 in Francia, 229 Spagna e 157 Belgio. 810 condannate, 709 in attesa di giudizio e 7 in attesa di estradizione.

La Farnesina fa quel che può, ma non sempre si tratta di situazioni gestibili con qualche visita consolare né è detto che un intervento governativo possa cambiare qualcosa, anzi. Nei casi di denegata giustizia sarebbero necessarie interlocuzioni politiche ai massimi livelli o ricorsi a giurisdizioni superiori là dove possibile, ma dovendo eccepire circa l’amministrazione della giustizia di un altro stato sovrano, anche il meno democratico, le cose sono molto delicate se non potenzialmente controproducenti. Altra questione è la critica delle condizioni carcerarie e il rispetto dei diritti umani di chi vi è ristretto. E sì, anche se le nostre non sono migliori.

Ilaria Salis è stata accusata di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra; in rete si trovano dei video in cui un gruppo di ragazzi e ragazze picchia qualcuno che sembra un naziskin – le facce dei coinvolti non sono ben riconoscibili ma le didascalie dei filmati sostengono che si tratti della militante antifascista italiana. Non si rinvengono online smentite o conferme ufficiali. Poco più di un anno fa un altro militante antifascista italiano era stato arrestato. Non aveva aggredito nessuno ma era stato prelevato a casa la mattina dalla polizia belga nella “capitale d’Europa”.

Il 9 dicembre 2022 Niccolò Figà-Talamanca, già funzionario del Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia e da 25 anni segretario generale dell’organizzazione non-governativa “Non c’è pace senza giustizia” (fondata nel ’94 da Marco Pannella e Emma Bonino) veniva tradotto in carcere nel quadro dell’operazione “mani pulite”, nota come “Qatargate”. Con Figà-Talamanca altri due italiani, l’ex eurodeputato Antonio Panzeri e il compagno della vicepresidente del Parlamento europeo Francesco Giorgi. Malgrado si tratti di persone note e con conoscenze politiche altolocate non hanno ricevuto la visita consolare né, successivamente, quella di un eurodeputato. La prima interrogazione parlamentare che riguarda un altra “vittima” del Qatargate è stata presentata, e in Italia, a 12 mesi dai fatti.

La maggioranza di centrodestra italiana, ispirata dal pugno duro manifestato immediatamente dalla presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola, ha addirittura presentato una risoluzione parlamentare a Roma affinché il governo si impegni (ancora di più!) contro la corruzione internazionale. Le comiche. Nessuno dei coinvolti nel Qatargate ha potuto conoscere il dettaglio dei motivi dell’arresto; complice uno sciopero della polizia penitenziaria né i legali né i familiari hanno potuto visitare i quattro per giorni. Col tempo, grazie al collegio di difesa dell’eurodeputata Eva Kaili, si è saputo che le condizioni di fermo nelle camere di sicurezza di Bruxelles erano degradanti: mancavano le manette a polsi e caviglie ma per il resto la cella era fredda, sporca e invivibile.

Prima ancora di evocare le condizioni detentive c’era da denunciare la violazione dei diritti umani dei coinvolti: carcerazione preventiva a scopo di pentimento (cioè estorsione di confessione), dubbio rispetto dei diritti di difesa in occasione degli interrogatori. Ma niente. I cuori si levarono per difendere la democrazia europea dall’attacco delle lobby straniere.

Non tutte le oltre 2000 persone in carcere all’estero sono innocenti, non per questo i nostri consolati le devono lasciare a sé stesse. Da una ventina d’anni i governi italiani hanno adottato la posizione, non sempre praticata, di voler rimandare a casa loro i detenuti non italiani (anche per alleviare il sovraffollamento), un motivo in più per adoperarci per fare altrettanto al contrario. Abbiamo sottosegretariati per gli “italiani all’estero” che non necessariamente seguono sistematicamente la questione, ogni detenzione fa caso a sé e viene lasciata alla buona volontà di qualche eletto che se ne fa carico con risultati variabili. Ma l’Ungheria è l’Ungheria, il bersaglio preferito di ogni lotta genuinamente anti-fascista, specie se nazionale. Un paese in preda a un regime prepotente e autoritario alleato, anche se non ancora formalmente, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, attaccarlo rende puri alla stregua del partigiano Johnny.

Tutt’altra contrizione invece per il cuore violato dell’Europa da difendere dallo straniero a prescindere, con un’unità d’intenti mai più vista dai tempi delle Crociate. Se è stato fatto tutto il possibile perché Ilaria Salis sia trattata nel pieno rispetto dei suoi diritti, ivi compreso quello a un giusto processo con tempi certi, per Figà-Talamanca, liberato senza condizioni il 2 febbraio del 2023, non guasterebbero, se non altro, le scuse per averlo lasciato in una galera costruita alla fine del 1800, sovraffollata e senza possibilità di contatto con moglie e figli – e biancheria intima – per giorni. Scuse anche da parte di chi lo ha abbandonato al suo destino. Visto il suo trentennale lavoro a favore della ricerca della giustizia potrebbe essere anche una sorta di investimento per rischi futuri.

Marco Perduca, 16 giugno 2024

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