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Salvataggio banche venete, i numeri che non vi dicono…

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Qualche numero sul salvataggio due banche venete, popolare di vicenza e veneto banca, che d’ora in poi chiameremo Venete. E due considerazioni preliminari.

Prima. Le venete sono fallite, ma in questo caso non è stato applicato il cosiddetto bail in per il quale correntisti e obbligazionisti ci avrebbero dovuto rimettere le penne.

Seconda. Non si possono sommare pere e mele. Se il tesoro fornisce garanzie, ancora non ha speso un euro di soldi pubblici. Se poi ciò che garantisce, salta, beh solo allora l’impegno diventa un onere. Come vedremo il salvataggio è fatto da un mix di garanzie e cassa.

I numeri delle Venete nel 2016 e il Fondo Atlante

Questi i numeri fondamentali delle Venete nel 2016 (2015): margine di interesse 770 milioni; commissioni nette per 494 milioni; perdite per 3,5 miliardi (2,3 miliardi di rosso nel 2015); sportelli 982 (166 chiusi in un anno); 11.236 dipendenti in crescita rispetto ai 10.976 dell’anno precedente.

Insomma le due banche sono morte a causa dei prestiti dati a casaccio, che compromettono il conto economico con svalutazioni. Nel marzo il fondo Atlante, costituito dalla maggior parte delle banche italiane, dalle fondazioni loro azioniste e dalla Cdp (67 istituzioni ne sono i soci) aveva 3,5 miliardi, per ricapitalizzarle.

In assemblea i vecchi soci, circa 120mila, non vollero, comprensibilmente, mettere altri quattrini in quel buco nero. Il boss del fondo Atlante disse: per questo genere di ristrutturazione ci vogliono anni, noi ci metteremo 18 mesi.

Previsione che non si è verificata. Se c’è una sicurezza in questa vicenda è che il fondo Atlante ha somministrato un’aspirina ad un malato terminale, con il consenso del governo e delle istituzioni che anzi lo hanno spinto a farlo, e che il costo dell’inutile farmaco è stato di 3,5 miliardi.

Banca Intesa, che poi si papperá le venete, ha svalutato nel bilancio del 2016 la sua partecipazione nel fondo Atlante per 220 milioni. Al 31 marzo del 2017 la trimestrale porta le svalutazioni, per la sola parte veneta, a 488 milioni. Ma siccome grazie a questa posta pagherà meno tasse, si può dire che la perdita effettiva è di circa 150 milioni.

Occorre però ricordare come Banca Imi (gruppo intesa) nel 2015 si era impegnata a garantire per un miliardo l’aumento di capitale di Veneto Banca.

Insomma, forzando un po’ la storia, si può dire che grazie al fondo Atlante che si è sostituito agli azionisti nell’aumento di capitale, Intesa si è risparmiata il rischio di diventare azionista di Veneto banca e perdere dunque tutto.

Nell’ultimo anno, ha ricordato recentemente Carlo Messina, le due banche avevano emesso titoli, per non saltare, per 10 miliardi, interamente garantiti dallo Stato. Se le due banche fossero fallite, il Tesoro si vedeva bruciati dunque fino a 10 miliardi. È stato evidentemente un argomento forte nella trattativa governo-Intesa. Se le banche non fossero state salvate, il Tesoro si beccava l’escussione di garanzie per dieci miliardi.

Il decreto salva-banche

Domenica 25 giugno arriva con un decreto del governo il salvataggio delle banche da parte di Intesa. Se dovesse cambiare una virgola nella sua conversione in Parlamento rischia di saltare tutto: nelle virgole infatti girano i miliardi.

La banca guidata da Messina dice di aver comprato le due banche per un euro. In realtá viene pagata dal tesoro per 5,2 miliardi per accollarsi il pacco (4,8 per non compromettere i suoi cosiddetti ratio patrimoniali e oneri di ristrutturazione, e 400 milioni per crediti non sicuri al 100%). Padoan ha tecnicamente definito questo gruzzoletto: anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche».

Boh. Sui giri della contabilitá pubblica alziamo le mani. Forse intendeva dire che le coperture sono giá inserite nella manovra dei 20 miliardi sulle banche di pochi mesi fa. Accettiamo suggerimenti.

Intesa inoltre presta 5 miliardi alla bad bank che si ciuccia i crediti deteriorati delle venete. Si becca un interesse dell’1%, ma il suo prestito è garantito dallo Stato, insomma è come un Bot.

Prepensionamenti, chi paga?

Messina ottiene risorse e facoltà per prepensionare 3.900 dipendenti e chiudere 600 sportelli (100 in piú di quanti ne ha tutta la Popolare di Vicenza, appena inglobata) entro due anni.

Dalle Venete il bacino dei prepensionabili è di mille lavoratori, dal gruppo Intesa è di 8.200. Serviranno risorse, anche pubbliche previste dal decreto di domenica 25 giugno, se, come è probabile, gli esodati dovranno vedersi riconosciuti scivoli fino a sette anni. Secondo un’altra fonte, il Fondo esuberi che dovrebbe costare 4,7 miliardi è fuori dal decreto.

Vediamo meglio. I prepensionamenti sono volontari. Una cosa è certa 1.300 proverranno dalle venete. E gli altri da Intesa. Il prepensionamento non costa alle casse dello Stato. Lando Sileoni, numero uno della Fabi, dice che in questo modo negli ultimi anni sono fuoriusciti 40mila dipendenti del settore a costo zero per il contribuente.

Questi lavoratori se ne stanno a casa e prendono tra il 70 e il 75% del loro stipendio. La banca riduce il suo costo del lavoro. E il dipendente non spende soldi in benzina e pasti per recarsi in filiale. Conviene a tutti.

In questa vicenda Intesa ha un vantaggio non scritto. Avendo 8.200 dipendenti che potenzialmente possono accedere al prepensionamento e calcolando che in media lo richiedono il 60% dei lavoratori, nei prossimi sette anni avrà 5mila fuoriuscite. A cui sommare le 1.300 derivanti dall’acquisizione delle banche venete. Insomma prende al volo l’occasione per portarsi a casa una riduzione del personale.

E ritorniamo al famoso decreto, l’anticipo di cassa da 5,2 miliardi. In esso è prevista una voce che si chiama «oneri di integrazione» pari a 1,285 miliardi. Con questi quattrini pubblici, Intesa si paga l’accorpamento delle filiali, il cambio delle insegne, l’integrazione dei sistemi informatici, la mobilitá del personale e la sua formazione.

Ma attenzione, c’è anche una voce che si chiama «prepensionamenti». Immaginiamo che il ministro Padoan lo sappia come si concili questa voce con la sua affermazione che non ci sono quattrini pubblici per l’esodo di lavoratori dal nuovo gruppo. Giusto per info.

La bad bank avrá crediti deteriorati per 17,8 miliardi. La Banca d’Italia calcola che si potranno recuperare 9,9 miliardi (un tasso di recupero al 50%). Inoltre 1,7 miliardi arriveranno dalla vendita di partecipazioni azionarie che le Venete avevano. In totale la bad bank potrebbe dunque incassare 11,6 miliardi.

In sintesi, diamo i numeri

In sintesi il Tesoro fornisce più di cinque miliardi a Intesa e si accolla poco meno di 18 miliardi di crediti monnezza. Inoltre il Tesoro si impegna a coprire lo sbilancio di cessione delle banche venete e altre garanzie, per un totale di 10,9 miliardi.

In sintesi se tutto fila liscio incassa 11,6 e spende 10,9: un saldo positivo che secondo la relazione del Tesoro può essere di 700 milioni.

Correntisti e obbligazionisti senior (sono le obbligazioni più garantite): per loro non cambia nulla, non perdono nulla. Con il bail in sarebbero stati toccati i correntisti per quota superiore a 100mila euro e i bond senior. Secondo alcune statistiche un correntista su tre ha depositi superiori ai 100mila euro, e dunque uno su tre sarebbe stato colpito dal bail in.

Obbligazioni subordinate (junior): 180 milioni in mano al retail e circa un miliardo in mano a fondi istituzionali.

Totale 1,2 miliardi per un complesso di 14 emissioni, saranno azzerate.

Ricordate sempre: gli istituzionali sono anche quei fondi che investono le vostre pensioni. Non sono dei cattivoni speculatori, che la nostra invidia sociale può odiare con leggerezza.

Azionisti: quote azzerate. Ma i 120mila privati era da tempo che lo sapevano.

Per Atlante, come detto, si tratta di una botta da 3,4 miliardi.

Nicola Porro, Il Giornale 1 luglio 2017