I liberali italiani – ci sono, ci devono essere, ciò che resta di Forza Italia, ad esempio – devono smetterla di ingannare sé stessi e prendere atto che continuare a fare gli alleati poveri di Matteo Salvini non fa bene a nessuno: non fa bene a loro, non fa bene all’Italia e non fa bene nemmeno a Salvini che invece di pensare a fare seriamente il ministro dell’Interno crede di essere per davvero il Capitano. Per i lettori del blog nicolaporro.it, questo articolo è sgradevole, ma qualcuno deve pur esserlo e deve pur dire delle modeste verità che sono, ormai, chiare. È bene, allora, che a farlo sia uno come me che nell’area dell’ex centrodestra c’è sempre stato e ci ha lavorato fin dai giorni della fondazione del mondo.
1. Il nazionalismo di Salvini è cosa vecchia, anti-europea, inferiore al nostro tempo. È figlio del marketing e della comunicazione che fiutano dove va il vento e soffiano in quella direzione rinfocolando il più possibile il risentimento sociale dei nostri tanti anni di crisi e di fallimenti. Tutta l’azione politica di Salvini è dedicata alla propaganda nel tentativo di incassare il massimo del consenso popolare ed elettorale e mangiarsi in un sol boccone tutto ciò che prima era l’area di centrodestra. Continuare ad essere in queste condizioni alleati di Salvini equivale a suicidarsi. Il suo nazionalismo vecchio che, in un mondo grande e allo stesso tempo piccolo, parla addirittura dei “sacri confini” va contrastato mettendo in luce con santa pazienza che è cosa né del presente né del futuro ma del passato.
2. La prova è immediata. È stato proprio Salvini a promettere un cambiamento rivoluzionario in Europa. Risultato? Una Caporetto. Il Pd, l’odiato Pd, è riuscito nell’impresa surreale di vedere David Sassoli alla guida del Parlamento Ue, mentre lo storico asse franco-tedesco è al vertice della Commissione e della Banca. Insomma, Salvini con il suo nazionalismo propagandistico è fuori dai giochi per un preciso motivo politico: il sovranismo è la scimmiottatura dello Stato nazionale e coltiva un sentimento antieuropeo che mette sia la Lega sia l’Italia fuori dalla geografia e fuori dalla storia. Ora Salvini potrà continuare ad abbaiare contro la luna europea ma i suoi lamenti sono il frutto non di una forza ma di una debolezza.
3. Anche sul caso della Sea Watch e di Carola Rackete è tempo di finirla. Se è vero che arrivano pochi immigrati e che gli sbarchi sono calati drasticamente, allora, che necessità ha il ministro dell’Interno di fare un braccio di ferro con una donna al timone di una nave con a bordo quaranta persone? Avrebbe potuto tranquillamente far sbarcare subito la nave e poi procedere a controlli ed eventuale arresto. Invece, si è scelta la strada della sceneggiata. Perché? Per il solito motivo: perché la politica di Salvini è al rimorchio del nazionalismo-marketing e, quindi, andava seguita la sceneggiatura della sceneggiata. Risultato? Quello che sapete. Ed è del tutto inutile ora sfoderare l’argomento della giustizia politica perché l’unico risultato che si otterrà è quello di screditare anche la giusta esigenza di una vera riforma della giustizia che è sempre stato un doveroso argomento della cultura politica liberale e del centrodestra.
4. Chi è Matteo Salvini? Un perdente di successo. Sì, proprio così, un perdente di successo. Il suo consenso elettorale è alto ma il suo risultato di governo è nullo. Ci sono due modi di perdere: uno è con la sconfitta e uno è con la vittoria. Al momento, Salvini rientra in questa seconda categoria. Ma la sua vittoria non è mutilata, come lui vorrebbe far credere: è più semplicemente inutile perché è priva di un governo minimamente decente.
Dunque? Dunque, non c’è altro da fare che attendere e dare corpo e anima ad un’opposizione sia al nazionalismo salviniano sia al populismo grillino, che sono i due volti della stessa medaglia: il risentimento sociale e la crisi del ceto medio. Bisogna tener fede – proprio così: fede – ai valori decisivi della libertà e delle libertà e coniugarli caso per caso nella realtà sociale, politica e istituzionale in Italia e in Europa.
I liberali italiani hanno il dovere di concepire l’Europa come la loro patria e lavorarci per avere un esercito, un governo, una politica del caro, nostro “vecchio continente”. Quando un’alternativa – non so come, non so quando, ma non mi compete più di tanto, sono solo un letterato che si sforza di non tradire la possibilità della verità – quando l’alternativa prenderà forma, allora, il perdente di successo vedrà la folla che lo ha osannato voltargli le spalle. Così è sempre accaduto, così accadrà.
Giancristiano Desiderio, 4 luglio 2019