Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno, ha citofonato in diretta tv a un presunto spacciatore tunisino, in un quartiere popolare di Bologna, nel corso della campagna elettorale per le regionali in Emilia-Romagna (la leghista Lucia Borgonzoni ha grandi chance di vittoria). Che quell’uomo sia colpevole, fatto che non tocca a Salvini dimostrare, non ha alcuna importanza. Invece il leader della Lega ha stilato tre gradi di giudizio in tre minuti, un gesto dal sapore giacobino.
Salvini ogni tanto cita il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Quando si osserva il video girato a Bologna, viene alla memoria proprio una massima di Ronnie: “Le nove parole più terrificanti nella lingua inglese sono: Io sono del governo e sono qui per aiutarla.” Sarebbe piaciuto a Reagan un politico che bussa alle porte al posto di chi eventualmente lo deve fare, cioè le forze dell’ordine? Ovvio che no. Chi utilizza la giustizia sommaria, affronta i problemi seri con parole volgari, esibisce una sciatteria calcolata per ingraziarsi le masse, ha sempre torto, perfino quando ha ragione. I capi di partito puntano al consenso, è ovvio. Troppo spesso però la ricerca del consenso uccide idee che invece meriterebbero unanime rispetto, a patto di essere espresse nel modo giusto.
Non è una questione di buone maniere, per carità, anche il Galateo può occasionalmente andare a farsi… benedire. È proprio una questione di sostanza. Sfoggiare un linguaggio triviale per sostenere il diritto di decidere come regolare l’immigrazione, non favorisce la causa dell’immigrazione regolata. Fare proclami grossolani contro l’Unione europea non evita di rimanere col cerino in mano e sfracellarsi in solitudine. Guidare un governo da una discoteca in riva al mare, non aiuta a restare al governo.