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Saman, perché la fatwa dell’Ucoii è un pericolo

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In Italia è stata emessa la prima fatwa della storia. È l’ultima idea dell’Ucoii per archiviare il caso Saman, condannare i matrimoni forzati e rifarsi il trucco. E l’accoglienza positiva della fatwa, tranne le solite voci fuori dal coro (vedi Souad Sabai), lascia intendere che la missione può anche dirsi compiuta. Ma come è possibile che nessuno si accorga del pericolosissimo precedente appena creato nel nostro Paese?

Fatwa, cavallo di Troia dell’Islam

Un quesito imbarazzante. L’Italia, dalla stampa alla politica, fino agli analisti di ogni sorta, non è rimasta attonita e terrorizzata dall’ultimissima esternazione dell’Ucoii. Ormai sono passati oltre dieci giorni da quando l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, la più diffusa e radicata associazione islamica italiana, espressione della fratellanza musulmana, ha pensato di far entrare il cavallo di Troia dell’Islam in Italia con una fatwa. Parliamo di un parere religioso che ha indicazione vincolante, un responso giuridico nel diritto islamico per la fede dei musulmani. Qualcosa di simile non era mai accaduto in Italia. Lo ribadiamo. Quello di Saman è stato un delitto che definire efferato è poco. Sullo sfondo la piaga molto pakistana dei matrimoni combinati. Ma se non è una pratica islamica, come ci ripetono, perché emettere una fatwa?

È la prima domanda che nessun giornalone si è posto. La seconda è abbastanza immediata, a nome di chi è stata emessa? Se non è stata richiesta dalla famiglia della povera Saman – che, per inciso, è sciita, l’Ucoii invece è un’associazione sunnita – a nome di chi e a che titolo una fatwa Probabilmente all’Ucoii sfugge che siamo in Italia. Un Paese dove esiste un codice penale e uno civile, c’è pure una Costituzione. E dove ci sono già leggi a tutela di abusi su bambine e ragazzine. L’Italia è uno stato di diritto. Se l’Ucoii lancia una fatwa vuol dire che esistono corti di diritto parallelo, quello articolato dalla shari’a. Come accade in Inghilterra e Germania da tempo. E se non esistono, vuol dire si stanno creando dei presupposti per cui una giustizia parallela, di matrice islamica, subentri nel nostro Paese.

Due stati? Uno Stato nello Stato? Qual è l’obbiettivo dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia? Non saremo più schiavi, ma servi. Di una religione che è anche un progetto politico, l’Islam. A scanso di equivoci va chiarito che l’unica realtà islamica riconosciuta come ente morale dallo Stato italiano è la Grande Moschea di Roma. E il segretario del centro islamico culturale d’Italia, Abdellah Radouane, sul caso Saman si è espresso, come di sua competenza, con un comunicato stampa. E con questo ha anche condannato il parere religioso dell’Ucoii. D’altronde già in altre occasioni, Radouane aveva fatto dichiarazioni contro e sulla vicinanza di questi ultimi alla Fratellanza Musulmana. Nei paesi musulmani una fatwa viene “lanciata” quando richiesto dai giudici e per aiutarli a prendere una decisione sul caso.

Cos’è la fatwa

La parola significa “perfezione”, “spiegazione”, e compare undici volte nel Corano e in cinque Sure diverse. La fatwa è il risultato di due azioni: l’istiftā, la domanda, e l’iftā, risposta e chiarimento. La norma per un Paese islamico. Ma cosa c’entra con l’Italia. Qui non c’è un credo riconosciuto come religione di Stato, come lo è l’Islam in Pakistan, per esempio. Perché l’Unione delle comunità islamiche non s’è limitata ad un comunicato stampa, ma ha pensato al reboante giudizio religioso, un’indicazione vincolante che ha commosso tanti commentatori, tra cui il giornale dei vescovi italiani? Se l’Ucoii ha deciso di ergersi a responsabile morale e religiosa delle comunità islamica italiana è perché, fare da eminenza grigia serve al suo gioco.

Il silenzio sulla matrice islamica

C’è stata troppa infatti confusione intorno al caso Saman. Troppe trasmissioni e articoli di giornale: mai prima d’ora un omicidio di matrice islamica che ha coinvolto il nostro Paese aveva attirato tutta questa attenzione. Penso agli omicidi di questi anni. Sana Cheema, Hina Saleem, Sanaa Dafani tra le tante. Dov’era l’Ucoii? E quando la povera Rachida venne presa a martellate in testa dal marito fino a ridurle il cranio dello spessore di 5 centimetri? In quell’occasione ci fu un silenzio assordante e nessuna fatwa. Rachida aveva 35 anni, due figlie di 3 e 5 anni (l’omicidio fu consumato davanti ai loro occhi) e viveva a Levante di Brescello. Un giorno il marito tornò a casa e la uccise perché qualcuno della comunità islamica gli aveva riferito di averla vista in ginocchio a pregare in una chiesa cattolica. Rachida subì una specie di fatwa dalla comunità islamica perché pregava il Dio dei cattolici. Ma l’Ucoii all’epoca non si espresse in alcun modo. E neanche gli imam diedero voce ad alcun tipo di condanna.

D’improvviso si sono, invece, scoperti tutti moderni e civili. E hanno ricevuto pure l’irreale plauso del quotidiano dei vescovi italiani. Avvenire ha accolto entusiasta la fatwa contro i matrimoni combinati annunciata: il pensiero che quello non è altro che un tentativo di introdurre la legge islamica nel diritto italiano non li ha neanche sfiorati. Figuriamoci. Avvenire e l’Ucoii sono concordi anche sulla teoria per cui del barbaro omicidio di Saman la responsabilità non sia da attribuire all’Islam, ma all’Italia tutta incapace di tutelare le donne. Quello di Saman, ha detto sostanzialmente il presidente dell’Ucoii, Yassine Lafram all’Agi, è solo uno dei tanti “femminicidi” che si consumano in Italia, non ha niente a che vedere con le credenze religiose. Dicono all’unisono.

Pakistan, paese leader per matrimoni forzati

Forse né Ucoii né Avvenire sanno che il Pakistan è il Paese leader al mondo per matrimoni forzati. E che il periodico rapporto, “A numeric tale of human (in) security (SSDO)” ha registrato nel primo trimestre del 2020 un aumento allarmante dei casi di criminalità e violenza contro donne e bambinie in Pakistan. Che il 2020 si è chiuso con un aumento del fenomeno che ha toccato un picco del 360%.  Dati a cui vanno aggiunti i rapimenti quasi quotidiani di ragazzine cristiane rapite da musulmani e costrette al matrimonio. E gli ultimi dati disponibili del Forced Marriage Unit (FMU) che nel 2019, ha contato, nel territorio inglese, 559 matrimoni forzati che riguardano cittadini pakistani. I restanti 796 casi – ribadiamo, solo in Gran Bretagna – riguardano bengalesi, indiani, afghani, somali, iracheni e romeni.

Al nuovo catto-islamismo che avanza va solo detto che la vera responsabilità italiana nel caso Saman sta nell’incapacità di prendere sul serio il problema posto da certe comunità di immigrati, e di tollerare troppo allegramente culture incompatibili con la nostra civiltà. Un Paese come l’Italia non può accettare che al suo interno esistano zone franche o comunità che si autodeterminino in base a regole contrarie alla Costituzione, alle leggi e ad una visione della realtà che nasce dalla radici giudaico-cristiane. Quelle che hanno fatto di questa terra la culla della civiltà e del diritto e dalla quali nasce anche una visione laica dello Stato. Chi lo nega ignora la storia e la natura di quelle radici.

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