Lo spettacolo delle primarie democratiche non ha deluso le aspettative e continua a riservare sorprese e colpi di scena. Bernie Sanders, il socialista dichiarato che ancor oggi difende a spada tratta i “successi” del comunismo cubano, è ufficialmente il frontrunner, il favorito a vincere la competizione per diventare il candidato democratico che sfiderà Trump a novembre. Per Joe Biden, e tutto il fronte dei moderati, rimane una ultima esile speranza… e tutto sarà (con ogni probabilità) deciso nei prossimi 5 giorni. Altrimenti sarà Trump vs Sanders 2020.
Come si è arrivati a questa situazione, certo non proprio gradita ai moderati e all’establishment del partito? In primo luogo il tracollo Joe Biden. In molti nutrivano dubbi sulla qualità del candidato e in effetti sia nello Iowa che nel New Hampshire, Biden è andato molto al di sotto delle aspettative (arrivato quarto nelle primarie dello Iowa, quinto in quelle del New Hampshire. Un risultato umiliante per quello che era entrato in corsa come il favorito).
Sanders ha vinto (marginalmente) entrambe le competizioni, ma questo poteva essere previsto. Sono stati i risultati deludenti di Biden ad aprire i giochi e a dividere ancora di più il fronte dei democratici (che rimane, anche tra i votanti alle primarie, maggioritario rispetto all’ala più progressista). Tre i candidati pronti a scavalcare il cadavere del vetusto Biden. Pete Buttigieg, sindaco di South Bend nell’Indiana. Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota e il magnate ex sindaco di New York, Michael Bloomberg.
Poi è arrivata la terza elezione primaria. In Nevada, lo stato di Las Vegas. Ha vinto, stavolta convintamente, Sanders e per lui è stata l’incoronazione definitiva. Buttigieg e la Klobuchar hanno fatto registrare risultati miseri, facendo capire di suscitare scarsi entusiasmi tra gli elettori non-bianchi, e oltre gli stati del Midwest e del New England.
In quanto a Bloomberg, non era nemmeno candidato in Nevada, ma è stato affossato durante il primo dibattito televisivo a cui ha partecipato, massacrato dal fuoco incrociato di tutti gli altri candidati, mentre Sanders veniva risparmiato. Entrato in gara, con il proposito abbastanza esplicito di bloccare la deriva comunistoide di Sanders, Bloomberg ha di fatto sortito l’effetto opposto. L’arrivo di Bloomberg ha distratto tutti dal candidato veramente in ascesa, Sanders, e non ha fatto altro che frammentare ancora di più i voti dei moderati.
Per i quali ora, a meno di svolte sempre più improbabili, non rimane che un’unica speranza: tornare a sostenere il tanto disprezzato Joe Biden. Biden in Nevada ha piazzato un decoroso secondo posto. Ma sabato, 29 febbraio, si vota in South Carolina, il primo stato del Sud, il primo stato con una consistente, anzi maggioritaria, componente di elettori neri.
Saranno i democratici afroamericani, tendenzialmente più moderati dei bianchi, a salvare il partito democratico dal takeover ostile di Bernie Sanders? Se Biden dovesse vincere, con un buon margine, in South Carolina, rilancerebbe la sua candidatura. Si affermerebbe nuovamente come il campione del fronte moderato, in funzione anti-Sanders. Tre giorni dopo, il 3 marzo c’è il super tuesday, il super martedì, in cui votano ben 18 Stati (più le isole Samoa), tra cui California e Texas.
Biden dovrà fare molto bene anche qui per recuperare il terreno perduto. Altrimenti si va per una nomination a Sanders, oppure per la temuta brokered convention, in cui nessuno dei candidati ha raggiunto la maggioranza assoluta e la nomina dovrà essere decisa da un compromesso politico tra le varie anime di un partito democratico sempre più balcanizzato.
Stefano Varanelli, 29 febbraio 2020