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Sanremo, come rosica Saviano: l’oscuro delirio sul “Festival sovranista”

L’intellettuale tenta un’interpretazione della kermesse di Carlo Conti senza monologhi né politica. Rimpiange Amadeus, ma non riesce a spiegarsi bene

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Roberto Saviano non digerisce il Sanremo di Carlo Conti, e si capisce. Forse preferiva il baraccone di Amadeus, il gay pride impegnato, i monologhi alla Ferragni bambina, quelli di Rula Jebreal, i baci di Rosa Chemical, l’antifascismo militante di Fedez. E così, alla fine della terza serata, convinto a) che non ci saranno sorprese e b) che gli ascolti continuano ad andare comunque alla grande, se ne esce con un video al veleno che sa tanto di rosicata. Sintesi brutale: Telemeloni senza Ama e Ciuri non ha fatto flop e lui non sa come spiegarselo. Quindi se la prende col sovranismo.

“Ieri sera, dal palco dell’Ariston, Carlo Conti ha ribadito con fermezza: “Niente monologhi quest’anno” – scrive sui social – Ma cosa si cela dietro questa scelta? Perché non si parla di immigrazione e di guerre? E, soprattutto, come mai stavolta non ci sono polemiche sui cachet? Il Festival di Sanremo è da sempre lo specchio del nostro paese, ma anche strumento di controllo e censura. Da sempre, i governi hanno cercato di influenzare testi e scelte artistiche, arrivando persino a silenziare voci scomode e a limitare la libertà espressiva”.

E quindi nel filmato si arrischia a spiegarci perché questo è “un festival sovranista”. Ci sarebbero tre elementi chiari chiari, limpidi limpidi. Primo: “La dichiarazione di Conti contro temi come immigrazione e guerra, il micromondo invece del macromondo. Ma in realtà Sanremo è sempre stato sulle emozioni, sull’amore, tradimenti, innamoramenti. È sempre stato così: quindi questa precisazione a cosa vuol fare riferimento? Al sentimento come intrattenimento, gioco, che non induge troppo sulle cose. Uno stare insieme laddove invece amore, intimità, non significa remissività. E quindi questo dettaglio fatto passare per spazio dato al sentimento significa ‘non si parla di temi politici che possono dividere'”.

Il racconto di Max del Papa:

Secondo: non fare alcun monologo significa “scegliere circa un punto di vista”. Per Saviano “il comico, l’intellettuale e l’artista che viene chiamato per un monologo porta con sé un punto di vista” e quindi non invitare nessuno significa assumersi la responsabilità di non volere che accada (come, scusa?). Il tutto “lasciando insinuare” (sic!) che “solo il talk può raccogliere tutte le opinioni sul tema”: è “un modo furbo per non scegliere da che punto di vista approfondire”. Quindi, per dire, Saviano avrebbe preferito un monologo di Giuseppe Cruciani contro il politicamente corretto al nulla?

Terzo: “La non divisività cosa porta? Che non esistano polemiche sul cachet. Che sia alto, medio o basso, nel momento in cui l’Italia è in ginocchio qualsiasi pagamento venuto dallo Stato verrebbe visto come improprio ed esagerato. Non c’è dibattito su questo perché il dibattito non è mai sulle risorse, ma solo se hai preso una posizione”. Insomma: in questo mondo “in cui hanno vinto i sovranisti”, se prendi posizioni l’elettore bue si stente “depredato del denaro che magari è meritato: la presa di posizione ti rende di parte e quindi squalificato”. Poi l’affondo: “Conta solo essere intrattenitori, vassalli di chi comanda perché a quel punto allora sì che ti meriti il cachet. Ma se vuoi lavorare mantenendo posizione autonoma e in conflitto allora è imperdonabile”. Forse Saviano finge di non capire che le polemiche sul cachet non riguardano mai tutti gli artisti o i performer in gara, ma solo chi ha fatto del populismo di bassa lega. Oppure di chi, per pubblicità personale, rivendicava di averlo versato a questa o a quella associazione benefica per trarne magari indietro un po’ di pubblicità a spese del contribuente. Ad infastidire non è il cachet: ma il fatto che qualcuno incassi soldi pubblici per farci il predicozzo su cosa dobbiamo pensare sulla guerra in Palestina, sull’esistenza di 100 generi, eccetera eccetera eccetera.

Alla fine Saviano è costretto ad ammettere, pur avendo titolato il video “Sanremo e la censura”, che in realtà questo Festival sovranista “non censura, se non come altri festival, e gli artisti sono sempre gli stessi”. Ma è un Festival in cui “l’importante è che il gossip” appaia “critica culturale”, che “ci sia qualche polemica sulla cifra del rotocalco, ma mai approfondimenti e posizioni”.  Ora guardatevi tutto il video. Se voi lo capite bene, siete bravi. Noi non è che siamo riusciti a seguirlo granché.