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Sanremo e l’inno alla droga di Achille Lauro

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Si accendono le polemiche su Sanremo: il testo Roll Royce di Achille Lauro sarebbe un inno all’ectasy. Le pastiglie in voga in questo momento sono appunto “targate” RR, Roll Royce, sono blu e spopolano tra i giovani. Difficile dire che Lauro, tra rock e rap, abbia giocato sul limite tra il celebre marchio automobilistico o davvero la droga sintetica che inebetisce tanti ragazzi. Quello che è certo è che Claudio Baglioni, il sacrestano del Festival, ha messo acqua sul fuoco, come da suo compito, per portare tutto alla normalità in una sala stampa che non è stampa ma portavoce di Baglioni.

Nessuna polemica, articoli uguali per tutte le testate, una omologazione come mai si è vista per un festival che non assopisce ma rimbalza tutto sul volto di Baglioni. Non esistono le intemperanze, le polemiche: tutto è normale, come un disco rotto che non smette di suonare una eurovisione dove anche la politica è lontana. Questo è il festival da melatonina piuttosto che da “Roll Royce”: non esistono voci fuori dal coro, tutto è perfetto, segue il copione e tutti non fanno che abbassare la voce per non disturbare. Persino Loredana Bertè e Patty Pravo sono state domate in nome della discografia, perfino Claudio Bisio non fa che leggere e reggere il copione, mentre Virginia Raffaele smesse le imitazioni si esibisce come valida teatrante, senza disturbare, premiata con la serata monografica che Rai2 le dedicherà lunedì sera.

Tutto perfetto, tranne l’ipocrisia: il testo di Achille Lauro è un testo per drogati chimici, è una provocazione che Sanremo subisce senza cavalcarla perché disturberebbe il quieto vivere di una platea e di spettatori sponsorizzati dove nessuno osa un “beh”. Achille Lauro esibisce nella canzone tutti autori maledetti come se fossero da prendere ad esempio, come se la lavoro vita e arte non fosse finita in una fossa ma nel mito di cui nessuno ricorda nemmeno una strofa. Achille Lauro smentisce ma forse dimentica di aver scritto nella sua autobiografia “Sono io Amleto” un capitolo “Confessioni di un pusher”? In una intervista sul quotidiano il giorno lo scorso anno ha dichiarato: “Penso che la droga sollevi delle barriere, tolga dei freni inibitori e possa quindi rivelarsi utile. Sia chiaro che non ti devi sfondare di sostanze, ma usarne solo il minimo indispensabile per far aprire il chakra e lasciar passare le cose più intime e nascoste. Ne uso un po’ solo per comporre”.

Sarebbe da eliminare Achille Lauro, ma Baglioni non fa un passo indietro. Il suo è il festival che nemmeno Baudo o Fazio sono riusciti a creare: il Festival degli sponsor, del “tutto bene”, di un volto che non si scioglie a nessuna emozione se non quella degli ascolti. È un festival da “Pensione Egea” di Igea Marina, è un festival che sembra quelle gite in pullman per anziani dove vendono le pentole, è un festival che monopolizza la rete intera. È un festival che sembra creato per mandare in “ecstasy” Vincenzo Mollica, la Mary Poppins dei critici discografici. E c’è un frame, da una diretta dietro le quinte, che racconta tutto il Festival: “Baglioni che, tra mille bodyguard” si avvicina ad Andrea Laffranchi, caporedattore Spettacoli del “Corriere della Sera”, lo bacia e gli chiede “tutto ok” dopo un “carissimo”.

Un tempo erano i giornalisti a inseguire le star, non il contrario.

Ma anche questo è il segnale che la democrazia cristiana non è mai morta. Se la sinistra esiste ancora grazie ai negri e alla tolleranza (parola che dovrebbe essere vietata: io tollero chi non mi sta simpatico) la democrazia cristiana vive: ha fatto uccidere Moro, sai cosa gli interessa della pubblicità dell’ecstasy.

Gian Paolo Serino, 9 febbraio 2019