Cultura, tv e spettacoli

Sanremo, è tornato il Festival di regime

Sanremo è Sanremo, si adegua sempre, ma con Amadeus passa sempre dal woke al woke

Amadeus (1)

Ruminando ruminando si capisce la mutazione genetica del Festival degli scarti. Perché Sanremo è Sanremo, paraculo come la Chiesa, che nella apparente immobilità si adegua ai tempi e dura. La mutazione dell’era AmaCiuri, all’epilogo ma chissà, va da woke a woke.

Per anni schiacciata sul gender maledetto, forsennato, oggi schiera ancora le gonnelle di Mengoni e Mahmood ma così, per obbligo di firma, insieme al Pigalle look di Annalisa e, purtroppo, la stagionatissima Giorgia, in effetti vira decisa sul patetico ricattatorio, tutto un rosario di sofferenze, di condizioni difficili, di disagi da sbattere in faccia a chi guarda: come, noi agonizziamo, e tu non vuoi vaccinarsi, non vuoi la carne sintetica, la farina di locuste, non vuoi i 30 all’ora? Ma che merda di essere umano saresti, tu, che ci guardi mentre prendiamo appena settecento mila euro per educarli? Poi che magari uno il disagio se lo sconti in quanto vaccinato (“Credo fermamente nei vaccini, sono l’unica Soluzione”, Giovanni Allevi, 2021, oggi nemmeno un dubbio) non rileva anzi non si può dire, non si deve dire, se no a punirlo provvede Ciuri, il guitto di regime, nella maniera che piace al regime, lo fa sorridere di quei sorrisi sfingei ma definitivi, pollice verso, discorso chiuso.

Il woke, cioè la censura di regime, resta ma diventa corporeo, non più sessuale. Per la semplice ragione che il conformismo sensuale è ormai cosa acquisita, ce li fanno nascere così, li spediscono subito negli ospedali fiorentini dove un bambino diventa un ibrido. Il trait d’union di questa mutazione è tale BigMama che unisce le situazioni sensuale e fisica: militante queer sovrappeso ma non si può dire, la Rai delle menzogne e delle propaganda subito apre procedure da inquisizione. BigMama può dire che, essendo lei “lesbica e grassa”, ipse dixit, “Giorgia Meloni non è adatta” non va bene. BigMama può dare indicazioni di voto e di vita, dire che Giorgia le fa schifo, ma nessuno può dirlo a lei, neanche limitandosi al giudizio artistico, se no scarta il vittimone xxxxl.

E di tutto il resto si deve dire che è divertente, commovente, spettacolare. Ci sono certi direttori capelloni che fanno venire in mente Lino Banfi preside con Alvaro Vitali direttore di banda: “Diecimila lire di multa per oltraggio a Stravinscoli e quarantamila perché mi stai antipatico”. C’è questo Diodato che riporta alla mestizia di Speranza, l’abbiamo detto, ma a questo punto ci pare che non sia casuale. Che vuole? Ha fatto un video con dei malati, dei disagiati in una sala d’aspetto, per dire che? Che siamo tutti così? Che il mondo è distratto, è cattivo? Che ci vuole più uguaglianza come dice Bergoglio e questa si può solo raggiungere con più migranti, vaccini, grilli farinati e meno auto, insomma l’agenda woke in purezza?

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Quell’altro con la stola di orsacchiotti che predica la pace, alla maniera di quelli che stanno con Hamas; e la sera dopo, soddisfatto del risultato, dice: non volevo fare politica. No? Ma la fanno, la fa Ghali, un altro che sta dalla stessa parte e piglia il plauso della politologa Selvaggia Lucarelli che coraggiosamente preferisce prendersela con le pizzaiole di Sant’Angelo Lodigiano, a mezzo toy chef. Perché va benissimo obiettare sulla distruzione a tappeto di Israele su Gaza, ma poi dipende da come o cosa dici, anzi da cosa ometti. E qui gli ometti, ominicchi pucciosi non si contano.

E Sanremo cambia per non cambiare e non cambia per cambiare. Gattopardesco festival che imbarca i trattoristi ma a distanza, questi si stanno già rincoglionendo, si fanno prendere nella rete, diventano mediatici e così non otterranno niente e saranno felici, si faranno controllare e neutralizzare meglio, come lo sprovveduto Puzzer dei portuali, ridotto all’elemosina. Occhio, che il Sanremo dei pazzerelli e dei cazzari di regime può essere micidiale.

Sanremo di regime rispecchia le contraddizioni del regime, della sinistra che anche da opposizione continua a dettare l’agenda alla destra che se la fa dettare. Normalizza la condizione di Allevi, colpito da mieloma da entusiasta dei vaccini ,facendogli rilanciare la campagna vaccinale al grido “credo nella scienza”, senza la dignità di un sospetto su quanto gli è stato fatto. E ha il coraggio di “parlare a nome degli altri ammalati”: sì, ma da cosa? Esalta la purezza del traffico a km zero ma offre immenso spreco di suv, di fuoriserie, di megacamion, di.gruppi elettrogeni, di aeroplani che trasportano le star chiamate a fare il ballo del qua qua.

Denuncia il sessismo ma fa sfilare le sue (e i suoi) cantanti, le prime ipersessuate, giarrettiere, aderenze, stivali, look da Pigalle, i secondi svirilizzati, deprivati di una residua dignità maschile. Non uno suggerisce qualcosa di diverso da un mollusco. Sanremo si nasconde, si professa apolitico ma la politica gli scorre nelle vene, è carsica, scirte nell’eterno ragazzo incartapecorito che va nel viet-nam e spara ai viet-cong, tattà tatta tattà, simbolo delle guerre che son tutte ingiuste però non sempre è giusto resistere, perché la morale surrettizia è la solita e tutta dalla solita parte, quella dei buoni e dei giusti, supponenti e stupidi come non mai.

Sanremo pretende di sanificare, santificandole, cioè rendendole impossibili, e noiose, le abitudini sociali ma non dice una parola sul gioco d’azzardo legalizzato che frutta allo Stato 5 miliardi l’anno e gliene chiede 15 per curare i ludopatici. Insomma propala una libertà condizionata, una libertà in catene. Non ci prendessero in giro, non si azzardasse Ciuri che nella dipartita dei Coletta e dei Presta gode del controllo assoluto: la brutalizzazione del povero John Travolta da un effemminato efferato ballo del qua qua, roba da Lucio Fulci, “Non si violenta un paperino”, era voluta, era perfettamente in scia. Un trappolone strategico che neanche il fumantino Ama osa contestargli.

Tra splatter ed horror si continua a bofonchiare e le chiamano canzoni ma nessuno capisce niente e va bene, Crowe contiene 300 gladiatori, la Mannino è la mamma di Maninni, le srtavecchie glorie, tra cui ragazzotti ormai, cantano la ramanzina e va tutto benissimo, la plebe apprezza, sfilassero pure per quello che gli pare, cantassero Bella ciao e perché no Contessa, ma allora i marò(ni)?

Max Del Papa, 9 febbraio 2024

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