Sanremo, la verità dell’artista: “L’autotune è criminale. Ora bisogna agire”

Francesco Tricarico, al Festival insieme a Gabbani, invoca la “legittima difesa” contro chi usa l’aiutino per l’intonazione: “Passa al cervello e uccide le emozioni”

11.8k 17
gabbani tricarico

Certo che lo sapevo che Tricarico era giù di voce, che doveva in qualche modo risolvere il guaio dell’ultimo minuto, anzi se volete saperlo abbiamo discusso insieme di come fare, io di segreti con chi mi legge non ne ho. Ma il fatto, vero, è come ne è uscito, il fatto è che se anche fosse stato in piena forma lui avrebbe trovato qualcosa del genere, qualcosa di molto simile.

La destrutturazione di “Io sono Francesco” insieme a Gabbani, che con premurosa lealtà si è accollato gli incisi e tutta la parte cantata, era nelle cose. Perché “Tric” ha la maledizione dell’artista vero, e se uno va a sentirlo nei concerti sa bene che le sue canzoni, tutte notevoli, non poche autentici capolavori, escono puntualmente stravolte. Sto dicendo che se uno ha talento, anche senza voce costruisce l’emozione che ti mette all’angolo, in un refolo di tempesta ti fa passare tuo malgrado dal divertimento al groppo in gola. Non chiedetevi come si fa, è quella faccenda che gli artisti sanno e non conoscono, “non so cosa sia, ma ce l’ho”. Chi non ce l’ha, va di autotune, che è una roba senza senso in un festival dove si canta dal vivo, si canta davvero. Anzi il festival un tempo della canzone italiana, del cantare italiano, memore, sempre più in Alzheimer, del bel canto che risale dalla romanza, dal melodramma, da Frescobaldi, dall’Opera da Jacopo Peri in poi, da Luzzasco Luzzaschi con i suoi madrigali e “O dolcezze amarissime”.

Leggi anche:

Proprio il Tric ha messo nei social un intervento dove, su uno scherzo citazionista di Bach, si scaglia soavemente contro l’autotune, “un’arma criminale, peggio di una P38 con dietro dei criminali, ti entra nelle orecchie, passa al cervello, ammazza le emozioni e lo spirito, bisogna agire ora per legittima difesa, per legittima difesa”. La nostra Iva Zanicchi in conferenza stampa ha detto qualcosa di simile ma in modo più ruspante, più romagnolo, lo ha definito “una merdata”.

Sì, per un cantante che canta, che sa cantare, questo dispositivo di correzione dell’intonazione è offensivo, è il demonio: impedisce non la spontaneità ma l’errore che salva, l’alea dell’errore di cui è fatta la vita e dunque anche il canto che la celebra. Ora, che a Sanremo, Festival del canto, venga usato, autorizzato l’autotune è grottesco; ne fa sfoggio Mahmood come per un gioco infantile, gli serve ad imitare il lamento del muezzin, col tempo sono stati proposti usi diversi dell’autotune, da creativi a ironici, ma resta strumento maligno e sconcertante: Carlo Conti, uomo del passato, uomo di un altro secolo, come noi, alle prese con questo strumento diabolico non sapeva che fare, neppure divertirsi, va bene che il senso dell’umorismo non è il suo forte ma effettivamente questa roba è come lasciare un bambino da solo in una fabbrica di dolci: le conseguenze sono micidiali.

Qui più o meno tutti ne abusano. Vantandosene. Non bastava la farsa di quelli del Volo in fama di tenori col microfono: uno come Fedez, che senza è praticamente evirato, castrato, è la prova perfino imbarazzante che quelli come lui non usano la tecnologia per migliorarsi ma per nascondersi, che esistono in funzione della tecnologia truffaldina, degli autotune che creano l’architrave del pezzo. Se ne fa a meno, suscita immediato compatimento e deve giustificarsi: “Non ho mai detto di essere Celine Dion”.

Leggi anche:

Scusa strampalata che non cambia la realtà delle cose: a Sanremo, come ai talent, come dappertutto in tutto e per tutto, siamo invasi da gente che fa quello che fa senza poterlo fare, ma lo fa. Lo vuole, lo pretende. Di 29 presunti cantanti, a cavarsela saranno si è no sulle dita di una mano. Massimo Ranieri, che il bel canto lo difende come tradizione, fa la figura del dinosauro. In compenso abbiamo le Clara, le Gaia, le Villain che non si capisce come non tengano vergogna o il senso dell’imbarazzo, le vedi lì tutte convinte e non sai se provare compatimento o tenerezza o insofferenza.

Personaggi come i Lauro, gli Effe, sono qui alla teoricamente massima rassegna canora nazionale, comunque la più invasiva; li vedono, li sentono in 13 milioni e cosa sentono? Dei pupazzoni griffati del tutto sprovvisti di intonazione, di timbro, di modulazione, non si parli di dinamiche, trillo, gorgheggio, tenuta, respirazione, timing e quant’altro. Se devono fare un banale salto di sesta, diciamo da “do” a “la”, possono arrivarci solo a sirena, con qualcosa che non è un glissato, è un lamento, uno strascinamento.

Dice il Lauro: ma questo è il mio stile. Scusasse, quale stile? E questi, con o senza voce, effettivamente l’emozione l’ammazzano, scardinano il cervello, stuprano le orecchie. O volete dire che vi hanno coinvolto le coattaggini di Achille e Elodie, di Effe e Noemi: “Tutto il resto è noia”? No il resto: c’è solo noia e magari dispetto per la totale mancanza di meritocrazia, che tutti la sbandierano e niun sa dove sia. Se sei artista, se hai quel qualcosa che non sai ma ce l’hai, puoi arrivare, puoi struggere anche con la voce di Sandro Ciotti. Se no fai musica per sordi, come dice Keith Richards dei rapper.

Max Del Papa, 15 febbraio 2025

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version