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Sanzioni alla Russia, la doppia vittoria di Orban sull’Ue

L’Ue ha approvato il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Ma l’accordo è un trionfo più ungherese che europeo

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Al via il sesto pacchetto sanzionatorio dell’Ue nei confronti della Russia. Dopo settimane di stallo, a causa del “sabotatore Orban” (almeno così lo hanno definito i media mainstream), gli ambasciatori dei 27 Paesi membri hanno approvato il nuovo contenuto, non senza alcuna eccezione fondamentale.

Le decisioni dell’Ue

Nella riunione convocata dalla presidenza francese, in Lussemburgo, i leader europei hanno incluso l’embargo graduale al petrolio russo, solo per quello via mare, a partire dal 2023. L’Occidente punta ad essere indipendente da Putin già dai prossimi sei mesi, combinando le decisioni di Germania e Polonia, le quali ridurranno le proprie importazioni di petrolio del 92 per cento entro dicembre.

I media internazionali stimano una perdita tra i 20 ed i 60 miliardi di dollari per l’economia di Putin, ma anche l’Ue dovrà farsi carico del futuro – e sicuro – aumento dei prezzi, che pare già attanagliare molti Stati del continente, ancora prima dell’avvio del sesto pacchetto di sanzioni.

Nonostante tutto, seppur Bruxelles sia riuscita a sbloccare le incertezze dell’ultimo mese, c’è uno Stato su tutti che pare uscire con la coppa tra le mani: l’Ungheria.

La vittoria di Orban

In questi ultimi giorni, Orban è stato squalificato come il leader che ha preso in “ostaggio” l’intera Unione Europea, che l’ha portata ad affannare sull’approvazione del pacchetto di sanzioni, che l’ha posta come un’alleanza spaccata, divisa, lacerata agli occhi del mondo.

Eppure, i pugni sul tavolo di Budapest hanno portato importantissimi risultati. Orban, infatti, non ha solo ottenuto l’esclusione del patriarca russo Kirill dalla “lista nera”, ma anche eccezionali deroghe per il greggio trasportato via oleodotti.

Nelle scorse settimane, Budapest si è fortemente opposta all’idea bruxelliana di bloccare in modo indiscriminato le importazioni del petrolio di Mosca, entro la fine del 2023. E questo per due ragioni fondamentali. Da una parte, l’Ungheria dipende per circa l’85 per cento dal greggio russo; dall’altra, come riportato da Reuters, Orban non potrà sottrarsi alla dipendenza del Cremlino, se non a partire dal prossimo triennio.

Questo avviene non perché siamo dinanzi ad un governo “dittatoriale”, ma per il semplice fatto che le esportazioni di Mosca risultano essere linfa vitale per Budapest, indubbiamente export strategici fondamentali per non cadere nel baratro economico.

Tra gli altri provvedimenti comunitari, è stato confermata anche la disconnessione dal sistema Swift di tre banche russe e di una bielorussa, oltre all’estensione dei “divieti all’esportazione verso la Russia di prodotti chimici e high-tech”.

Insomma, al di là della voce grossa nei confronti di Viktor Orban, l’Ue ha partorito un topolino. Anzi, per assecondare le richieste ungheresi, Bruxelles ha dovuto accettare un’esenzione temporanea per il greggio e l’aggiunta di prescrizioni speciali al divieto imposto per il petrolio di Mosca, proveniente sulle navi da cisterna.

Visto che Italia e Germania, soprattutto all’inizio della guerra, manifestarono forti opposizioni alla volontà europea di tagliare il gas; per quale motivo l’Ungheria non avrebbe dovuto fare altrettanto con il petrolio russo? La dipendenza dalla Russia è tale da non poter direzionarsi su scelte alternative.

Le soluzioni, purtroppo, sono solamente due: convivere con Mosca per il minor tempo possibile, pianificando contemporaneamente strategie volte a garantire autonomia ed indipedenza, oppure agire ideologicamente, senza aver fatto i conti in casa. A Bruxelles la scelta finale.

Matteo Milanesi, 3 giugno 2022

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