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Sanzioni controproducenti?

Sanzioni, la Russia regge la Nato forse: “L’Europa pagherà un prezzo”

Il gas sfonda quota 315 dollari a megawattora. Europa a rischio in autunno. A Mosca invece…

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Dopo sei mesi di guerra in Ucraina, le sanzioni economiche sembrano fare più male all’Europa che alla Russia. Mentre il nostro Continente è soffocato dai prezzi dell’energia alle stelle (oggi arrivato a 315 euro a megawattora), l’economia russa, la più sanzionata al mondo, pare riuscire a sopportare la pressione di oltre 11mila misure restrittive come risposta all’attacco all’Ucraina. “Annaspa, ma non affoga”, come riassume Chris Weafer, ad di Macro-Advisory, azienda moscovita di consulenza, in un recente studio menzionato da Repubblica.

La Russia barcolla ma non molla

L’export di gas e petrolio resta il toccasana per la Russia. Secondo Bloomberg, la scorsa settimana le consegne offshore di greggio sono tornate ai livelli di aprile con 3,41 milioni di barili al giorno. Anche il Financial Times conferma un calo solo del 3% nella produzione di petrolio russo rispetto al livello precedente alla guerra. Molti Paesi europei, tra cui l’Italia, stanno facendo scorte in vista dell’embargo Ue che entrerà in vigore solo a dicembre, aumentando le importazioni. L’aumento dei prezzi degli idrocarburi ha compensato il crollo delle esportazioni di gas, favorendo Mosca. La Russia ha anche trovato nuovi mercati per esportare i suoi combustibili: oltre alla Cina (dove adesso è il primo esportatore, soppiantando l’Arabia Saudita) e all’India (a cui vende a prezzi stracciati), vi sono lo Sri Lanka (il cui presidente ha chiesto personalmente aiuto a Putin) e l’Egitto, dopo la visita del ministro degli esteri Lavrov. Perfino i talebani sono interessati a comprare milioni di barili di greggio.

L’avvertimento della Nato

Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, ha laconicamente dichiarato all’emittente tedesca Zdf che “L’Europa pagherà un prezzo per il sostegno all’Ucraina, in conseguenza delle sanzioni”. Non a caso la Germania, come locomotiva del Continente, teme moltissimo la possibile crisi industriale nel prossimo inverno. Inoltre il fronte politico atlantista che tiene duro sulle sanzioni alla Russia sembra indebolirsi a Berlino. Wolfgang Kubicki, vicepresidente del parlamento tedesco e del partito liberale al governo non ha dubbi sulla via da seguire: “Aprire il gasdotto Nord Stream 2 il prima possibile, per riempire i nostri serbatoi di stoccaggio del gas per l’inverno”. Se quindi il fronte delle sanzioni ad ogni costo sembra indebolirsi, Stoltenberg ammonisce: “La Russia utilizza l’energia come arma”. Il segretario generale ricorda che “non c’è alternativa al sostegno a Kiev”, “il prezzo che pagheremmo se non avessimo sostenuto l’Ucraina e la Russia vincesse, sarebbe molto più alto”. L’errore di valutazione di Putin nel credere di vincere la guerra in Ucraina in pochi giorni è chiaro e quindi Stoltenberg invita a resistere: “Ci troviamo davanti a una guerra d’attrito, dove sarà chiave la forza di volontà e la logistica”.

Ritornano i metodi Urss

La forza di volontà e la resilienza sembrano però non mancare al popolo russo. Per reggere all’urto dell’embargo, la Russia sta rispolverando usanze dei tempi dell’Unione Sovietica, come riporta Repubblica. Fra pochi giorni, con una ordinanza governativa, potrebbero rinascere i berjozka, negozi duty free riservati anni fa ai diplomatici, dove trovare generi banditi dalle sanzioni: alcolici, profumi, cosmetici o telefonini. In seguito al defitsit, la carenza dei prodotti, con il via libera statale alle importazioni parallele, sono ricomparsi i chelnokì, commercianti che trovano all’estero e rivendono tutto quello che manca in patria. I ristoranti a Mosca sono sempre pieni e i supermercati non sembrano avere problemi di rifornimento, grazie all’abile disposizione sugli scaffali di prodotti che arrivano principalmente dall’Asia a prezzi stratosferici.

La popolarità di Putin sale

I russi, avvezzi a decenni di regime sovietico, manifestano grande resilienza davanti all’inflazione. Si arrangiano: acquistano prodotti di seconda mano o vanno a trovare merci vietate in patria in Bielorussia. Dati riportati da Repubblica e da La Stampa testimoniano che la crisi russa sembra gestibile, almeno a breve termine. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato quest’anno un decremento del Pil del 6%, che è sempre meglio del 10% previsto subito dopo le sanzioni o dell’8,5% ipotizzato ad aprile. Per la Reuters, il Cremlino prevede una discesa del Pil del 4,2% (contro il 12% ipotizzato all’inizio della Guerra) e l’inflazione dovrebbe raggiungere il 13,4% a fine anno, secondo il ministero dell’economia russo. Le difficoltà economiche sembrano essere abbordabili, soprattutto nell’immediato futuro e con manovre autoritarie che puntano molto sulla propaganda. L’operazione militare speciale in Ucraina, come viene chiamata da Mosca, sta facendo passare la guerra come un attacco dell’Occidente alla Russia. La popolarità di Vladimir Putin è addirittura salita all’80% a luglio, secondo l’istituto di sondaggi indipendente Levada Centre.

I dati dell’economia russa

La produzione industriale invece accusa qualche colpo. I dati generali indicano un -1,7% totale e un -3,2% nel settore manufatturiero. Se però si prendono i singoli settori, la situazione peggiora, come sottolinea Vladimir Milov, ex viceministro dell’Energia, oggi consigliere economico di Navalnj. La produzione di auto, che è il maggior datore di lavoro con 3,5 milioni di dipendenti, è crollata del 66%. Finora il tasso di disoccupazione è stato tenuto comunque intorno al 4% con accorgimenti quali il part-time o tempi di fermo. I pezzi di ricambio sono quasi introvabili, tanto che il governo ha autorizzato a vendere veicoli senza airbag e le compagnie aeree smontano i loro velivoli per recuperare componenti. Secondo un rapporto degli economisti di Yale, “l’economia russa sta vacillando. Non è il momento di frenare”. L’esule Sergej Guriev invece ha dichiarato a Sciences Po che l’economia russa “è colpita, ma non in rovina”, in linea con l’analisi di Weafer. Aleksandr Gabuev, del Carnegie Moscow Centre, sostiene che le sanzioni non faranno cambiare la politica del Cremlino sull’Ucraina.

Alcuni analisti considerano due fattori che, a lungo termine, potrebbero far vacillare il gigante russo. Il primo riguarda la perdita di tecnologia e di componenti occidentali, non sostituibili completamente da Cina ed altri Paesi, che farebbe deteriorare l’industria e l’apparato bellico. La seconda situazione poco sostenibile sarebbe la virata verso l’Asia. Esperti di Yale, secondo La Stampa, ammoniscono che Cina e India “sono acquirenti notoriamente attenti ai prezzi che mantengono stretti legami con altri esportatori di materie prime. La Russia così rischia di vedere deteriorarsi la sua posizione strategica di grande esportatore”.

Andrea Gebbia, 25 agosto 2022