“Sapeva dei danni da amianto”. Si riapre il caso Eternit

Continua l’odissea giudiziaria di Stephan Schmidheiny con tre processi paralleli

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di Mattia Rossi

Con due udienze, celebrate in appena due giorni a Napoli e Torino, è tornata all’ordine del giorno della cronaca italiana la vicenda Eternit. Sembra non avere fine, infatti, l’odissea giudiziaria di Stephan Schmidheiny, 74 anni, ultimo proprietario dell’azienda con sede a Casale Monferrato (la più grande d’Europa), ovvero colui che, oggi, si vorrebbe responsabile di migliaia di omicidi volontari.

Niente condanna? Si torna a processo

Già, perché benché il primo maxiprocesso Eternit si fosse chiuso nel 2014 con la prescrizione del reato di disastro ambientale, Schmidheiny continua a essere imputato in una molteplicità di procedimenti penali con l’accusa ancora più grave di omicidio. Ormai da anni, la vicenda Eternit si è definitivamente spostata dal piano giudiziario a quello sociale: si è progressivamente alimentata, infatti, una esigenza di colpevolezza per la quale qualunque pronunciamento giudiziario non sarebbe stato accettabile se non fosse coinciso in maniera esclusiva con un pronunciamento di condanna. Se Schmidheiny non viene condannato va, dunque, riprocessato.

Così, la procura torinese, dopo la chiusura dell’Eternit I, ha proseguito alzando il tiro: il tycoon svizzero – la cui fabbrica, gestita dal 1976, ha dato lavoro a migliaia di famiglie fino al 1986 – secondo i pm, era pienamente consapevole dei danni dell’amianto, ma per trarre profitto ha proseguito l’attività uccidendo volontariamente lavoratori, familiari, cittadini e per quello va nuovamente giudicato. Con il non trascurabile dettaglio del ne bis in idemSchmidheiny è di nuovo a processo per i medesimi fatti storici. Una circostanza che aveva spinto i difensori, gli avvocati prof. Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, a parlare di una persecuzione di Stato.

Tre processi in parallelo

Oggi, dunque, sono in corso tre processi paralleli (un quarto, a Reggio Emilia, non è ancora avviato): 1. il principale è a Novara, in Corte d’Assise, dove lo svizzero è accusato dell’omicidio volontario di 392 persone (ma simbolicamente di tutte le migliaia di vittime uccise dal mesotelioma) dell’area di Casale Monferrato; 2. a Napoli, sempre in Corte d’Assise, per l’omicidio volontario di sei ex lavoratori dello stabilimento di Bagnoli e due familiari; 3. a Torino, invece, si è proceduto con l’omicidio colposo di due ex dipendenti dello stabilimento di Cavagnolo e, giovedì, si è aperto l’appello dopo la chiusura, nel 2019, del primo grado con la condanna dell’ex patron a 4 anni.

Mentre il maxi-filone di Novara è ancora in piena istruttoria dibattimentale, quello di Napoli si avvia a chiusura: mercoledì scorso, i pubblici ministeri Giuliana Giuliano e Anna Frasca hanno chiesto la condanna di Schmidheiny a 23 anni e 11 mesi di reclusione. Per loro, «era ben consapevole della correlazione tra l’inalazione delle fibre di amianto e le malattie asbesto-correlate», ma «nonostante avesse questa cognizione» non se ne curò per «perseguire al massimo il profitto».

E poco importa se:

  • come sostiene la difesa, all’epoca dei fatti (anni Settanta e Ottanta) non vi fosse piena concordanza scientifica sugli effetti dell’amianto;
  • se appena insediato al timone di Eternit Schmidheiny organizzò un congresso con i dirigenti per pianificare una energica «lotta contro la polvere nelle aziende» concludendo che «è importante che ora subentri un cambiamento nell’atteggiamento e nella mentalità di tutti i collaboratori, ma soprattutto di tutte le più alte dirigenze nell’ambito dell’azienda, è importante cioè che la tutela del lavoro e dell’ambiente diventi cosa ovvia come lo sono le norme di produzione e le norme di qualità»;
  • se fu grazie a Schmidheiny che si passò dalla lavorazione a secco a quella a umido;
  • se Eternit investì costantemente negli stabilimenti italiani;
  • se gli standard di sicurezza in Eternit sotto Schmidheiny fossero superiori a quelli mediamente presenti nelle altre fabbriche;
  • se le nostre conoscenze sul mesotelioma sono ancora troppo poche per ritenere assolutamente certi gli studi epidemiologici;
  • se vi fu un grande assente – lo Stato italiano – nella regolamentazione del settore dell’amianto messo al bando solo nel 1992.

Quella di “Mr. Eternit” in questa novella Norimberga si profila come una vicenda ancora tormentata e comunque, nella sua affannosa ricerca della colpevolezza ad ogni costo, tutta italiana.

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