Alla fine la faccenda s’è chiusa come si sono concluse tante altre storie di MeToo: con l’archiviazione giudiziaria. Nello Trocchia e Sara Giudice, lui cronista del Domani e lei ex inviata di Corrado Formigli a PiazzaPulita, oggi possono esultare: il gup del Tribunale di Roma ha archiviato l’accusa di stupro nei loro confronti, denuncia che era stata presentata da una collega della Rai convinta di essere stata drogata con del Ghb durante una festa di compleanno e di aver subito delle molestie da parte dei due giornalisti.
La decisione del giudice era attesa, vista anche la richiesta di assoluzione avanzata dalla procura della Repubblica. In fondo sia l’uno che l’altra avevano ripetuto in ogni dove che sì, uno scambio di baci c’era stato, ma si trattava di effusioni consensuali, di un gioco conclusosi prima di salire in casa. La presunta vittima ha percepito diversamente il tutto, e l’ha raccontato ai magistrati. Ma evidentemente non era abbastanza per sostenere in giudizio un’accusa di violenza sessuale. Lei, comunque, già a settembre aveva fatto sapere di voler opporre ricorso contro l’archiviazione.
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Cosa ci insegna, questa storia? Innanzitutto, che avevamo ragione noi: applicando il sacrosanto principio del garantismo, pur sapendo che fossero stati giornalisti di destra li avrebbero massacrati, avevamo chiesto di sospendere il giudizio mediatico sul duo Giudice-Trocchia come lo avevamo fatto anche per Ciro Grillo, Leonardo La Russa e tutti gli altri. Ma ci insegna anche che il MeToo è morto sotto i colpi dell’amichettismo dei giornalisti progressisti. Ci avevano sempre detto che alla vittima occorre sempre credere, che l’abuso di alcol è sempre un’aggravante, che occorre evitare la “vittimizzazione secondaria”, che il “no è no” sempre e comunque. Invece con Trocchia e Giudice sul patibolo degli indagati è crollata ogni convinzione: la presunta vittima può sbagliare, i presunti stupratori possono essere credibili, il crinale tra “consenso” e “non consenso” può essere sfumato, la percezione di una violenza sessuale da parte della vittima può anche essere in realtà una bigotta “crisi di conformismo”.
Siamo sicuri che da oggi in poi i vari Il Domani, Repubblica, Piazzapulita e soci ci andranno coi piedi di piombo di fronte ad accuse di stupro avanzate da presunte vittime. Eviteranno di scadere nei brutti articoli giustizialisti con cui, pochi giorni dopo la notizia dell’indagine ai danni del figlio di Ignazio La Russa, lo condannarono senza appello. Ed eviteranno anche un nuovo caso Fausto Brizzi.
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