Premessa fondamentale: la decisione della Rai di non formalizzare il contratto con Sara Giudice, accusata di stupro con il compagno Nello Trocchia, è sbagliata, fuori luogo, poco garantista e decisamente giustizialista. Non tanto perché il pm ha chiesto archiviazione, a cui la presunta vittima – una collega Rai – intende opporsi. Ma banalmente perché in attesa di giudizio sia l’ex inviata di PiazzaPulita che il cronista del Domani sono innocenti, fino a prova contraria. Da qui però a farne una motivazione di martirio progressista e trasformarsi in vittime del “lavoro senza diritti” ce ne passa. Eccome se ce ne passa.
Vale la pena fare un piccolo riassunto. Nel gennaio del 2023, in occasione di una festicciola molto romana a cui partecipava la crème de la crème del giornalismo di sinistra, Sara Giudice, Nello Trocchia e la denunciante avrebbero avuto effusioni a bordo del taxi che li stava riportando a casa. I due accusati giurano si sia trattato di baci e toccatine consensuali. La presunta vittima ritiene di essere stata vittima di violenza, col grande mistero del Ghb che le sarebbe stato somministrato non si sa bene da chi. Il tassista vede tutto, conferma in parte la versione della difesa e in parte quella dell’accusa, il pm si guarda bene (caso molto strano) dall’interrogare chi la violenza sostiene di averla subita e chiede l’archiviazione. Udienza attesa per dicembre.
Il punto è che nel frattempo Sara Giudice non lavora più a PiazzaPulita e si vociferava di un suo approdo a “L’altra Italia“, il nuovo programma condotto dall’ex Iena Antonino Monteleone. Ieri, anticipato dal Foglio, lo stop confermato dalla Direzione approfondimento: “Non è mai stata avviata nessuna procedura formale di contrattualizzazione né, di conseguenza, emessa alcuna matricola”. Motivazione reale: inopportuno assumerla mentre è accusata di stupro da una nostra dipendente.
Storia finita? Ovviamente no. Perché intervistata dal Corsera, Sara Giudice la butta sul vittimismo. Cose tipo: “L’inchiesta non c’entra: mi è stato tolto il diritto al lavoro”; “Faccio questo mestiere da 15 anni e non ho mai chiesto un favore a un politico per entrare in Rai”; “In questo servizio pubblico ci eravamo in molti illusi di poter avere uno spazio di libertà e autonomia”. Oltre, ovviamente, all’immancabile velata accusa di Telemelonismo: “Non metterò mai una fiamma sul petto, orgogliosamente ho solo la mia libertà”.
Ripetiamo: annullare un contratto a fronte di una semplice denuncia, fondata o meno che sia, è fuori da ogni logica. Ha ragione Sara Giudice a lamentarsene. Ma non può spacciarsi per una Scurati qualsiasi. Stavolta la “fiamma sul petto” e la Rai senza “libertà” non c’entrano un fico secco. Perché un annetto fa anche a Filippo Facci, che non sarà un “destro” ma neppure un “sinistro”, è stato cancellato un programma solo per aver difeso con parole colorite un signore che si trovava più o meno nelle stesse condizioni del duo Giudice-Trocchia: Leonardo La Russa era stato accusato da poco di stupro e tutti lo davano per colpevole, anche il Domani, senza attendere processo o sentenza. “Il presunto stupratore e la presunta stuprata potrebbero aver detto entrambi la verità o essere convinti di averla detta, ricordata o ricostruita”, scriveva Facci prima di scivolare in un’infelice frase. Il ragionamento calza a pennello anche nel caso odierno, ma allora venne considerato veicolo di “vittimizzazione secondaria” mentre oggi – a quanto pare – non è più un tabù mettere in dubbio la versione della denunciante e accusarla pubblicamente di bigottismo conformista.
Dunque, repetita iuvant: cancellare il contrattino della Giudice è senza dubbio ingiusto. Ma almeno la Rai, per una volta, s’è dimostrata coerente: ha fatto una scelta sbagliata e l’ha ripetuta un anno dopo. Sara non può lamentarsene: potremmo sbagliarci, ma non ricordiamo una sua crociata a difesa del “diritto al lavoro” di Facci.
Giuseppe De Lorenzo, 17 settembre 2024
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).