Un nuovo “ordine mondiale”. Ecco cosa si profila dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Non solo perché bisognerà capire il futuro di Kiev, della zona a Est del fiume Dnipro, di Mariupol, Odessa, degli sbocchi sul Mar d’Azov e dei territori del Donbass. Saranno ancora ucraini? Il Paese verrà spezzato in due? Oppure si combatterà fino alla resa, all’annessione o alla sconfitta sul campo di Putin? Nessuno sa come finirà questo orrore. Quel che è certo è che nulla, o quasi, sarà più come prima.
Lo ha detto chiaramente oggi il ministro degli Esteri della Russia, Sergej Lavrov. “Questo è un momento fatidico, un momento epocale nella storia moderna – ha spiegato – perché riflette la ‘battaglia’, nel senso più ampio di questa parola, su come apparirà l’ordine mondiale”. Per capirlo non servono scienziati della geopolitica. Russia e Stati Uniti sono tornati ai ferri corti come ai tempi della cortina di ferro e della Guerra Fredda. L’Unione Europea non è stata in grado di mostrare una propria strategia, finendo col pagare (in termini di gas, inflazione e rincari) un prezzo elevatissimo per le sanzioni comminate a Mosca. La Cina sarà costretta a scegliere da che parte stare, o magari a elevarsi a mediatore delle due parti. Turchia e Israele si muovono. La guerra è tornata a lambire i confini della Nato con l’alleanza che ha schierato 100mila, dicasi 100mila soldati americani sul fronte Est. Quello più vicino alla Russia: un tempo la deterrenza nucleare ha garantito anni di pace armata, oggi aleggia come una spada di Damocle sulla testa di tutto il Mondo.
La soluzione alla crisi, mentre le navi russe hanno iniziato a bombardare Odessa e Mariupol, si spera ancora possa arrivare dal campo della diplomazia. Da giorni le delegazioni russa e ucraina si stanno incontrando in via telematica (si risparmiano tempo e risorse, dicono) per cercare un accordo. Per Lavrov il compromesso è “possibile”, anche se difficile. E tutto ruota attorno a quelle tre richieste fatte a suo tempo da Putin a Kiev e alla controparte occidentale: il riconoscimento dell’annessione della Crimea, l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche del Donbass e la neutralità dell’Ucraina. Oltre, ovviamente, alla promessa di non entrare mai nella Nato.
Da giorni, su questo punto, Zelensky sta facendo grosse aperture. Non intende arrendersi, come gli avrebbe chiesto Bennet da Israele. Ma sostiene di aver “capito” che l’Ucraina non potrà entrare nell’Alleanza Atlantica. Per Lavrov il tema della neutralità è ormai “seriamente considerato” dalle parti in trattativa. Kiev pare essere pronta anche a discutere sui territori della Crimea e del Donbass, lì dove Mosca richiede anche la totale “smilitarizzazione” e il riconoscimento “della lingua russa e della libertà di espressione”. Su questo tema i negoziati sarebbero ancora in alto mare. “Chiaramente, la questione chiave per noi è lo status della Crimea e del Donbass – ha detto il capo della delegazione russa ai negoziati, Vladimir Medinsky – così come una serie di questioni umanitarie, i diritti della popolazione russofona, lo status della lingua russa”.
Il problema, a dire il vero, sta anche nel formalizzare la cosa. Nessuno dei due protagonisti, così Zelensky come Putin, possono permettersi di perdere, anche se – come ricorda Capuzzo – accettare una parte di sconfitta è l’unico modo per raggiungere un accordo in una guerra. Fatto sta che secondo il Cremlino sarebbe possibile un “compromesso” sulla neutralità ucraina sul modella della Svezia o dell’Austria. Posizione subito smentita dalla controparte. “L’Ucraina è in uno stato di guerra diretta con la Russia. Pertanto, il modello può essere solo ucraino”, ha ribadito il capo negoziatore ucraino Mykhailo Podoliak. Kiev si sarebbe rifiutata di sottostare al modello svedese o austriaco. L’Ucraina vorrebbe infatti “garanzie di sicurezza assoluta” contro la Russia, un patto che costringa i firmatari ad intervenire in caso di nuova aggressione russa. Nei giorni scorsi Zelensky aveva chiesto questo appoggio alla Gran Bretagna e ad altri Stati occidentali.