In Francia, si è registrato un avvenimento giudiziario senza precedenti che ha riguardato una figura di spicco della politica nazionale: l’ex presidente Nicolas Sarkozy è stato condannato a tre anni di reclusione, di cui due sospesi e uno da scontare con il braccialetto elettronico. Questa pena è accompagnata da un ulteriore divieto di tre anni di svolgere funzioni pubbliche. Tale decisione storica segna la prima volta che un ex capo di Stato francese riceve una condanna di tale entità, sottolineando la serietà delle accuse rivoltegli: corruzione e traffico di influenze.
La Corte Suprema di Francia ha svolto un ruolo cruciale in questo scenario, confermando definitivamente la sentenza che Sarkozy aveva tentato di annullare attraverso un appello. Con la sentenza che diventa esecutiva, si aprono le porte a nuove battaglie legali, visto che gli avvocati dell’ex presidente hanno annunciato il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Patrice Spinosi, uno degli avvocati di Sarkozy, ha dichiarato all’Agence France Presse l’intenzione di suo cliente di rispettare la sanzione, pur proseguendo la lotta legale a livello europeo per difendere i suoi diritti, che ritengono siano stati compromessi dalla giustizia francese.
La questione dell’esecuzione della pena intravede un processo complesso, considerando l’età vicina ai 70 anni di Sarkozy. A lui sarà richiesto di comparire davanti a un giudice per definire i dettagli relativi all’applicazione del braccialetto elettronico. L’età avanzata dell’ex presidente potrebbe giocare un ruolo nelle discussioni relative alla modalità di scontare la pena, aprendo potenzialmente alla detenzione domiciliare.
Il fulcro della condanna è il cosiddetto caso “Bismuth”, che ha portato alla luce un presunto accordo corruttivo tra Sarkozy, il suo avvocato Thierry Herzog e il magistrato Gilbert Azibert. Le indagini sostengono che nel 2014 i tre abbiano tentato di manipolare l’esito di un caso giudiziario, in cui Sarkozy era parte, in cambio di favori professionali per Azibert. Nonostante le accuse, i diretti interessati hanno sempre negato ogni illecito, evidenziando come Azibert non abbia in realtà ricevuto alcun vantaggio.
La strategia difensiva si era incentrata sulla negazione delle accuse, criticando l’assenza di prove tangibili del presunto traffico di influenze e della corruzione. Questi elementi costituiscono la base della loro opposizione alla condanna e il punto di partenza per i futuri ricorsi legali, in particolare verso la Corte europea.
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