Il Medio Oriente e il conflitto israelo-palestinese oggi allargatosi a un conflitto musulmano-ebraico risultano incomprensibili se ogni fatto viene valutato in modo isolato dal contesto e da altri eventi o accadimenti quasi contemporanei. Ma l’errore, che talora odora distante un miglio di dolo, è commesso frequentemente dai media occidentali che pretendono di presentare un puzzle compiuto fingendo di non accorgersi che alcuni pezzi del puzzle stesso o sono andati persi o sono stati nascosti artatamente sotto la tovaglia.
Non pretendiamo di essere così bravi da ricostruire l’intero puzzle, ma di segnalare quattro pezzi del puzzle stesso che sono stati presentati come se fossero isolati uno dall’altro, quando è invece vero l’esatto contrario, come emerge con evidenza nel momento in cui si tenta di incastrarli razionalmente all’intero dell’intero quadro di riferimento. I quattro elementi sono: la caccia all’ebreo nelle strade di Amsterdam; la riedizione del libro a firma della giornalista egiziana di origine ebrea Bat Ye’or, prima a coniare il termine Eurabia, reso poi famoso da Oriana Fallaci; la decisione del Qatar di espellere Hamas e i suoi rappresentanti anche politici; l’ordine preannunciato dal nascente staff del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di sottoporre a uno stretto controllo i finanziamenti internazionali alle Università americane, specie alle più prestigiose; finanziamenti spesso veicolati attraverso dark tracks e provenienti nella stragrande maggioranza da Paesi musulmani.
Una caccia all’ebreo preordinata e programmata
Il primo tassello del nostro puzzle, quello relativo alla caccia all’ebreo nelle strade di Amsterdam in occasione di una partita non casuale (la squadra di casa, l’Ajax è per tradizione considerata legata alla comunità ebraica al punto che i suoi tifosi erano pronti a un gemellaggio con quelli ospiti provenienti da Israele); l’attacco da parte dei giovani musulmani e dei loro fiancheggiatori non aveva nulla di improvvisato. E’ vero l’esatto contrario: l’Olanda (l’Olanda di Anna Frank e dell’occupazione nazista) è uno dei Paesi in cui il radicamento di seconda e terza generazione di immigrati musulmani è più solido, al punto da contare su forti complicità anche nelle istituzioni, in alcune categorie comunque “strategiche” (i tassisti) e probabilmente nelle forze dell’ordine.
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Per altro nell’attacco nelle modalità con le quali si è consumata la caccia all’ebreo non vi era nulla di sorprendente o imprevedibile: il clichè era ed è stato identico a quello delle manifestazioni Por-Pal che si sono svolte nell’ultimo anno, nel silenzio e nel sostegno implicito anche di importanti opinion makers (il Vaticano che per altro ha totalmente dimenticato gli ostaggi anche bambini scomparsi a Gaza) in tutte le città europee incluse quelle italiane (anche dopo i fatti di Amsterdam con il corollario della beatificazione di Sinwar e della colpevolizzazione dell’intera comunità ebraica mondiale e non solo di Israele, in una escalation che ha prima centrato il mirino su Netanyahu, quindi su Israele e poi sull’intera comunità ebraica mondiale).
L’Eurabia voluta dalla euroburocrazia
E a questo si collega il secondo pezzo del nostro puzzle. A tredici anni dalla prima edizione italiana, l’editore Lindau ripubblica con un nuovo saggio introduttivo dell’autrice, Eurabia, di Bat Ye’or. Il libro il cui titolo fu reso famoso dal coraggio di Oriana Fallaci sostiene una tesi tutt’altro che campata in aria: a partire dalla fine degli anni ’60 agli inizi degli anni ’70, l’Europa (capeggiata in particolare dalla Francia, dal Belgio e dalla stessa Olanda con un crescente sostegno dei Paesi scandinavi) ha perseguito e alimentato anche di risorse finanziarie utilizzate dalle sue lobbies di potere una politica di integrazione e cooperazione globale con il mondo arabo in contrapposizione con la politica atlantica dominante e ovviamente con una ottima base comune di antisemitismo e antisionismo. Il saggio sostiene che proprio quella idea di Europa, prima Cee quindi Unione europea, mirava alla costruzione di un blocco economico e militare in teoria contrapponibile agli Stati Uniti. Era ed è l’Europa in cui ci troviamo oggi, ancora sostanzialmente velleitaria nel suo tentativo di determinare un forte blocco economico e militare in grado di potersi contrapporre agli Stati Uniti e ovviamente a Israele. Sempre secondo Bat Ye’or, l’Europa ormai da mezzo secolo l’Europa «pianifica» con i paesi della Lega Araba “la fusione delle due sponde del Mediterraneo in un nuovo, mostruoso agglomerato” che Bat Ye’or ha suggestivamente denominato «Eurabia» frutto del cosiddetto «Dialogo Euro-Arabo», alla massiccia apertura delle frontiere agli immigrati di fede musulmana e alla inesorabile trasformazione del continente europeo sempre più asservito agli standard culturali del mondo arabo e sempre più disposto a rinunciare alle sue radici nonché a parte della sua sovranità su aree territoriali colonizzate.
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Una volta innescato (con un ruolo principe anche di funzionari europei che facevano parte dell’élite filo nazista) il processo non si è più fermato facendo dell’antisionismo il collante di una legittimazione culturale dell’Islam, di una catena di falsi storici sul Medio Oriente facendo nascere un “palestenismo” dominante come collante ideologico (ed economico).
In fondo, mutatis mutandi, gli accordi di Abramo voluti da Trump e destinati a essere rilanciati da Trump 2, hanno una valenza speculare rispetto a quel disegno arabo-europeo: attraverso una salda alleanza con gli Stati Uniti l’obiettivo è quello di costruire un nuovo continente occidental-islamico comprendente oltre alle monarchie del Golfo anche Israele, come punta di diamante tecnologica, militare e di modello di affrancamento dagli integralismi. Un progetto che evidenzia una volta di più le motivazioni del massacro del 7 ottobre e della già preventivata reazione israeliana: spezzare il nuovo fronte ..di Abramo che taglia fuori le velleità europee e di Eurabia.
Perché il Qatar espelle l’amico Hamas
Ma come spesso accaduto nella storia, le trame di lungo periodo dell’Europa si frangono contro il pragmatismo anglosassone: è qui, con il terzo tassello del puzzle, è a dir poco curioso che i media (italiani in primis) abbiano dedicato così scarsa attenzione a due notizie che la dicono lunga sulla volontà americana di imporre un nuovo ordine e isolare gli integralismi. Il Qatar da sempre finanziatore diretto, indiretto e ombra anche delle frange armate e terroristiche palestinesi e no (Hamas ma anche Hezbollah) e inoltre punta di diamante dell’Iran nella penisola arabica, ha annunciato la decisione di espellere proprio gli uomini di Hamas dal suo territorio. Decisione a effetto immediato che priva i movimenti terroristici (quelli del motto “dal fiume al mare”, della distruzione di Israele, per altro – come evidenziato da molti sondaggi – auspicio comune di tutte le grandi comunità islamiche insediate in Europa) del pilastro anche finanziario che ha consentito loro di gestire anche un sistema di assistenza sociale coatta, vincente.
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E in contemporanea non può non far riflettere la scelta della nascente amministrazione Trump, come già tentato in occasione del primo mandato del tycoon, di porre sotto strettissimo controllo il fiume di finanziamenti palesi o ombra che affluiscono nelle università americane (lo stesso accade in Europa) e che hanno generato una cultura dominante anti-sionista, anti-semita filo-islamica.
Trump bloccherà i fondi sospetti alle Università Usa
In Europa (ed è solo un esempio fra tanti) il Qatar Development Fund ha donato tre milioni di sterline al fondo Thatcher dell’Università di Oxford, istituito in memoria della premier britannica, il Qatar ha donato al St Antony’s College di Oxford, dove insegnava Tariq Ramadan, undici milioni. Il Centro di studi islamici da 75 milioni di sterline di Oxford è stato sostenuto da dodici paesi musulmani, e una donazione di 8,4 milioni da una fondazione del Kuwait è solo una delle somme arrivate alla London School of Economics, dove già scoppiò uno scandalo per 1,5 milioni dalla Fondazione Gheddafi. Ma negli stati Uniti dove l’appoggio universitario pro-Pal è globale la NCRI (una delle maggiori ori agenzie di analisi dati degli Usa) ha pubblicato un secondo il quale, dal 2014 al 2019, nelle casse di 200 università statunitensi sono confluiti 13 miliardi di dollari non dichiarati al ministero dell’istruzione. I principali donatori sono alcuni stati stranieri: Qatar (2,7 miliardi), Cina (1,2 miliardi), Arabia Saudita (1 miliardo), Emirati Arabi (circa mezzo miliardo). L’elenco continua, ed è curioso notare quanto voluminose siano state le donazioni dalle autocrazie mediorientali. Come prevedibile, i maggiori beneficiari di questo fiume di denaro sono state le grandi università private del Nord-Est: Harvard, Yale, Cornwell.
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Sei università americane hanno oggi anche i propri campus nella Education City di Doha: Georgetown, Carnegie Mellon, Virginia Commonwealth, Cornell, Northwestern e Texas A&M. La Qatar Foundation, gestita dallo stato, finanzia i campus e il personale. Duecento college e università americane hanno nascosto informazioni su tredici miliardi di dollari di contributi stranieri, molti dei quali da paesi islamici autoritari. Inoltre, sebbene la correlazione non sia causalità, il numero di incidenti antisemiti in un campus ha una relazione con il fatto che quell’università abbia ricevuto finanziamenti (divulgati e non) da regimi mediorientali. E anche il quarto pezzo del puzzle è andato a posto.