Oggi ho deciso di percorrere un sentiero molto pericoloso, quello in cui il burrone è da entrambi i lati. Scrivo, a grande richiesta dei miei azionisti-lettori, sulla vicenda diventata “caso”, di Papa Bergoglio e del Cardinal Becciu. Come cattolico quando il Papa (intendo Francesco) parla di temi legati alla fede e al Vangelo lo ascolto e lo seguo con totale devozione, sono, mi considero, un cattolico non adulto. Quando, come in questo caso, si parla di immobili e di quattrini sottratti all’Obolo, siamo nella baraggia del vivere comune, qua la fede non c’entra, semmai è parte lesa, quindi se ne può parlare con laica serenità. In questi casi, il Vaticano assume le vesti organizzative di una multinazionale, quindi, nella mia visione operativa della vita, Papa Bergoglio è costretto a fare il President and Chief Executive Officier (CEO). Anche se si capisce che non lo fa volentieri, forse non ci è neppure portato.
Giustizialisti e garantisti vaticani
I più raffinati vaticanisti e le migliori penne laiche del Paese nei commenti si sono divisi nelle solite due fazioni: “giustizialisti” e “garantisti”. Per i primi, il cardinal Becciu non deve neppure essere indagato perché, secondo loro, si possono commettere reati senza essere immorali ed essere immorali senza commettere reati. Secondo questa fazione manettara bene ha fatto Papa Bergoglio a licenziarlo e a “sporporarlo” senza un regolare giudizio. I secondi si mostrano invece stupiti che Papa Bergoglio non abbia seguito la prassi antica della Chiesa che dura da due millenni: promoveatur ut amoveatur, e solo dopo la rimozione, si approfondisce.
Secondo me Papa Bergoglio si è comportato invece da persona comune e perbene, com’è. Questo modello (né garantismo sciocco né giustizialismo cattivo) lo scelsi quando facevo il CEO. Un CEO, per definizione e ruolo, non può essere né “giustizialista” né “garantista”. Deve decidere in tempi stretti e non deve avvalersi di una Gestapo interna. Un esempio. Quando venivo nominato CEO di una nuova azienda la prima disposizione che davo era un ordine tassativo: qualsiasi “lettera anonima” arrivasse a qualsiasi mio direttore di primo livello, o peggio a me attraverso la mia segretaria, doveva essere immediatamente distrutta senza essere letta (spesso si “riconoscono” dall’esterno), informando la struttura che il nuovo CEO non le tollerava. Di norma mi ci volevano sei mesi per “spegnere” questi ignobili comportamenti.
Esperienze personali
I miei collaboratori conoscevano le regole del gioco che dichiaravo in anticipo: non avrei mai fatto indagini sui loro comportamenti aziendali eventualmente non corretti, ma avrei sempre deciso secondo mie convinzioni psicologiche, essendo i nostri rapporti basati sulla fiducia. Un caso fra tanti. Un giorno, dopo lunghissime riflessioni, chiamai un manager di alto livello molto capace, dicendo che avevo raggiunto la convinzione psicologica (ripetei “psicologica”), dopo svariati segnali deboli, che lui non fosse aziendalmente corretto, per cui lo licenziavo. Ovviamente poteva dimettersi, e allora tutto finiva lì, ovvero poteva trascinarmi in Tribunale. Costui fu il primo, e l’ultimo, che scelse questa strada. Dopo aver cercato raccomandazioni “celesti” perché ritornassi sulla mia decisione, che respinsi gentilmente al mittente, mi denunciò.
Mesi dopo, proprio il giorno prima dell’udienza in Tribunale, ritirò la querela. Anni dopo seppi che era andato a vivere in Versilia, si era comprato una villa e si dilettava a pescare, come un novello Ernest Hemingway, da un Azimut di 18 metri. C’est la vie.
Chi è al vertice di qualsiasi organizzazione umana, se vuol essere al disopra delle umane debolezze, sceglie di convivere con un lockdown perenne, deve farsene una ragione, la solitudine è la placenta dove vivrà fino al termine del suo mandato. Mi chiedo: il mondo torbido e malato del CEO capitalism sarà arrivato anche nei sacri palazzi?
Riccardo Ruggeri, 2 ottobre 2020