Cronaca

Schiaffeggia un poliziotto, il giudice lo assolve per un cavillo folle

La storia incredibile raccontata dall’avvocato che ha ottenuto l’assoluzione: picchiare gli agenti si può, basta non stiano compiendo “atti di ufficio”?

La storia è questa e la racconta sui suoi canali un avvocato di Roma, Mattia Fontana, penalista iscritto all’Albo degli avvocati della Capitale e molto attivo online per spiegare un po’ di giurisprudenza e per raccontare le cause portate avanti in tribunale.

Uno di questi racconti sta facendo discutere. E non poco. “Oggi abbiamo ottenuto un’importante sentenza di assoluzione dal reato di resistenza a pubblico ufficiale – raccontava un mesetto fa il legale – E più di qualcuno mi ha chiesto come sia stato possibile”. Da qui la dettagliata spiegazione. “Una pattuglia della polizia entra in un bar nel momento in cui si sta svolgendo una discussione animata. Ad un certo punto il mio assistito decide di allontanarsi dal luogo della discussione per avvicinarsi alla sua macchina. Uno degli agenti, vedendolo in stato di alterazione probabilmente dettata dall’uso di alcol, lo invita a non salire in auto e a chiamare un taxi”.

L’uomo sostiene di non voler guidare, e da lì ne nasce una discussione. “Ad un certo punto l’agente viene colpito da uno schiaffo dal mio assistito, che viene tratto in arresto e portato il giorno dopo in udienza per la convalida. Tuttavia non solo l’arresto non veniva convalidato, ma dopo aver scelto il rito abbreviato, l’imputato veniva assolto perché il fatto non sussiste”. Come, scusa? Uno prende a schiaffi un poliziotto e il giudice lo manda a casa con tanti saluti? Sì. “Dovete sapere – spiega l’avvocato – che l’articolo 337 del codice penale, cioè la resistenza a pubblico ufficiale, che era il reato contestato al mio assistito, punisce chiunque utilizza violenza o minaccia per opporsi ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio mentre sta compiendo un atto di ufficio o di servizio”. Quindi? Quindi, “mentre il mio assistito colpiva con uno schiaffo l’agente”, questo “non stava compiendo alcun atto di ufficio” perché “non stava né identificando l’imputato né tantomeno stava compiendo altre attività di polizia giudiziaria”. Tradotto: stava “semplicemente discutendo con l’imputato”.

Sulla base di questo presupposto, spiega Fontana, “il reato di resistenza a pubblico ufficiale non poteva dirsi integrato” perché “mancava l’elemento fondamentale del compimento dell’atto d’ufficio”. Un cavillo, ammette il legale, ma lui ha vinto la causa ottenendo l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. Dunque bravo lui. Ma che dire del giudice? Possibile che non basti nemmeno essere in divisa e intervenire durante una rissa (o “discussione animata”) per garantire ai poliziotti che chi li prende a schiaffoni si becchi almeno una condanna?