Nei giorni scorsi, un evento senza precedenti ha colpito la comunità cattolica di Guasticce, nella provincia di Livorno. Il presbitero don Ramon Guidetti è stato oggetto di un’azione disciplinare particolarmente severa: la scomunica “latae sententiae”. Questa penalità canonica, come viene spiegato in una nota ufficiale della Diocesi livornese, implica che il sacerdote sia incorso nella sanzione “per il fatto stesso di aver commesso il delitto” (can. 1314 CIC), ovvero in modo immediato, senza l’interposizione di un’autorità esterna.
La scomunica di don Guidetti
L’atto imputato a Guidetti è tecnicamente di natura scismatica (cf. can. 1364 – § 1 CIC): viene accusato di “un grave delitto contro la fede e l’unità della Chiesa”. Durante una Celebrazione Eucaristica (“circostanza aggravante ulteriormente quanto avvenuto”), infatti, il parroco ha dichiarato pubblicamente di non riconoscere Francesco quale Papa, “rifiutando la sottomissione al Sommo Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti” (can. 751 CIC). In seguito, Guidetti ha abbandonato volontariamente la parrocchia, interrompendo ogni rapporto con il Vescovo e altri presbiteri della diocesi.
Il Vescovo, Simone Giusti, di fronte “a tale gravissimo delitto che mina l’unità della Chiesa”, si è “veduto costretto” ad avvertire il clero e i fedeli laici del delitto commesso da don Ramon Guidetti. Ha inoltre precisato che il parroco è stato rimosso dall’ufficio di Parroco della Parrocchia di San Ranieri in Guasticce e sospeso “ad divinis” secondo gli articoli del diritto canonico 1333 § 1 e 1336 § 1 CIC.
La ricostruzione dei fatti
Tutto il clamore inizia la sera del 31 dicembre scorso, quando durante un’omelia, Guidetti pronuncia parole di fuoco: sostiene durante l’omelia che Francesco “non è il Papa”, ma un “usurpatore”. O meglio: “Un gesuita massone legato ai poteri mondiali, un usurpatore anti-papa”. Alla morte di Benedetto XVI, era la tesi, il pontefice in carica era ancora Ratzinger (e non il suo successore di bianco vestito) non essendo valido l’atto di rinuncia del 2013.
La reazione del vescovo di Livorno, monsignor Simone Giusti, non si è fatta attendere: il giorno successivo, con un atto firmato dal cancelliere della Diocesi, don Matteo Giavazzi, ha comunicato la scomunica a don Ramon Guidetti intimando a tutti i fedeli di non partecipare “ad eventuali sue celebrazioni o ad altre pratiche di culto”, pena la scomunica. Il vescovo si è detto “paternamente a disposizione” per un incontro chiarificatore.
In risposta a queste affermazioni, Guidetti ha dichiarato: “Sono sereno e tranquillo, ma stupito della velocità con cui la ghigliottina ha tagliato la sua ennesima testa”. Ha anche espresso il suo disprezzo nei confronti della Chiesa, affermando: “Un po’ di amarezza nel cuore c’è, per questa cecità e questa durezza da parte di colei che dovrebbe essere una madre, la Chiesa. Dovrebbe essere materna e in realtà è una tiranna”.
Secondo quanto scrive l’Avvenire, tuttavia, la storia parte da lontano. Il vescovo, scrive il quotidiano della Cei, avrebbe incontrato Guidetti prima di Natale “per capire il dissenso” già “manifestato nell’ultimo periodo”. “Don Guidetti piano piano è stato coinvolto in questi gruppi che si mettono in opposizione sterile, e soprattutto in maniera scismatica, contro il Santo Padre – ha detto in un’intervista il vescovo –. Quindi si è ritrovato da solo perché lui ha scelto di uscire dalla Chiesa cattolica e io ne ho preso atto. Chi mette in atto comportamenti scismatici incorre nella scomunica latae sententiae, che vuol dire che anche se non veniva pubblicata, di fatto era già scomunicato”. Per il vescovo, don Ramon “è una persona buona, generosa, zelante ma fragile, che era già stato richiamato durante l’epidemia di Covid per alcune prese di posizione estreme e che si è lasciato trascinare da questi gruppi”. Il monsignore si dice “dispiaciuto”, sia per lo scandalo che per don Guidetti: “Il dibattito è normale, ma una cosa è discutere, una cosa è rompere la comunione”.