Scuola, trasporti, lockdown: il cdm sforna l’ennesima cialtronata

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L’ultima farsa si è consumata nell’ennesimo cdm carbonaro di ieri sera. Litigano sulla scuola a due giorni dalla prevista riapertura, si scannano sui trasporti che dovevano essere già sistemati quattro mesi fa, sfornano il provvedimento ponte per tenerci al guinzaglio un’altra settimana. Poi si vedrà: tornano le zone colorate, ma cambiano i parametri. Ci promettono un’area bianca di semilibertà, ma con le nuove soglie ideate dagli esperti, non ci entrerà nessuno: è l’ennesima carotina agitata davanti al muso dei conigli.

Senza strategia

Sullo sfondo di una crisi politica indecifrabile, viene a galla il peccato originale di un governo sgangherato. La cagione di un caos con il quale il virus c’entra poco. Il punto vero è che i giallorossi sono un ircocervo. Fratelli coltelli che si guardano con sospetto e rancore, tenuti insieme con lo sputo dagli artifici del Colle, dal timore – o dal disprezzo – della democrazia e dalla bulimia di potere.

Affiora anche il limite fondamentale dell’approccio nostrano alla pandemia: l’assenza di una linea coerente, a sua volta specchio di quella strutturale frammentazione della maggioranza. Prima, scatenano la giostra delle indiscrezioni: i weekend in lockdown, il coprifuoco anticipato alle 20, per vedere di nascosto l’effetto che fa. Poi, si chiudono nel palazzo a litigare. Alla fine, per sopravvivere un altro giorno, convergono su una mediazione da morra cinese. Come sulle scuole: il Pd puntava al 15 gennaio, Iv e M5s al 7, accordicchio chiuso a metà strada per l’11. Più che un Consiglio dei ministri, il gran bazar di Istanbul.

Record negativi

È trascorso quasi un anno dalla dichiarazione dello stato d’emergenza e lo stato d’emergenza è ancora in piedi. Ma, per definizione, l’emergenza è ciò che “emerge” all’improvviso. E che, archiviata la sorpresa, s’impara a gestire con strumenti ordinari. Qui, invece, si naviga ancora a vista, sbandando di qua e di là. Non si è mai deciso dove fosse il punto di caduta tra salute ed economia. Non ci sono un provvedimento, una regola, un divieto, che rimangano uguali per più di due settimane. Le misure sono sempre più contorte, sempre più incomprensibili e, soprattutto, sempre più illogiche e ininfluenti sul piano della profilassi.

Per tamponare il crollo del Pil, s’è andati avanti a piogge di bonus grotteschi. I ristori sono stati drammaticamente insufficienti. Sulle riaperture, sono sempre mancati scale di priorità e programmi di convivenza con il virus.

Non parliamo del rapporto con la popolazione: ogni ripristino di un minimo sindacale di diritti civili viene spacciato per una generosa “concessione” del sovrano; si autorizza la gente a fare qualcosa (viaggi, shopping) e poi la si rimprovera se la fa; si minacciano schieramenti “massivi” di forze dell’ordine e si straparla di (illegittimi) controlli domestici post delazione.

Il risultato di questo pasticcio è tragico ed evidente: record di morti, record di decrescita, record di imprese e partite Iva scomparse. Un Recovery plan imbarazzante. Un piano vaccini che è un fiasco annunciato. Un permanente conflitto di attribuzioni tra organi dello Stato, con il premier autocrate e il commissario predicatore che centralizzano le decisioni spettacolarizzabili, salvo scaricare sulle Regioni le patate bollenti. Così, si trascina la precipitosa fuga dalle responsabilità. Di ciascun errore, non si sa chi sia colpevole: le Regioni, i sovranisti, gli italiani?

Aleggia, tuttavia, un quesito angosciante: che alternativa offre, l’opposizione, al regimetto sanitario?

Alessandro Rico, 5 gennaio 2020

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