C’è questo funzionario del governo municipale di Pechino, tale Chen Bei – uno, per intenderci, di cui farete fatica a trovare una foto su Google immagini – che umilia il nostro BisConte dimezzato (quasi ridotto all’osso), rendendo noto che chiunque arrivi nella capitale cinese dall’Italia sarà messo in quarantena per due settimane. Ci manca solo che, con un trucco da prestigiatori, gli asiatici consegnino a noialtri la poco invidiabile etichetta di untori del mondo.
Si potrebbe far notare che, quando il governo giallorosso aveva deciso lo stop ai voli dal Paese in cui ha avuto origine il coronavirus, dalla Cina erano arrivate varie rimostranze: misure esagerate, dicevano quelli a cui Luigi Di Maio sperava di vendere le arance di Sicilia. Si potrebbe far notare che mentre sindaci fighetti e anchorman nostrani avevano montato campagne mediatiche in difesa dell’involtino primavera e del riso alla cantonese, a Pechino non s’è ancora visto un Ji Ju Mattarellin che visita una scuola piena di bimbi italiani a rischio segregazione. Osservazioni giuste.
Il punto, però, è che il regime comunista ha fatto quello che i grillopiddini non hanno avuto il coraggio di fare: isolare chi arriva dalle zone a rischio contagio. Invece, da noi, i «giallorotti» hanno chiuso i cieli ai voli diretti, spalancandoli a quelli con lo scalo. Hanno piazzato gli scanner della temperatura negli aeroporti, scordandosi che esistono i contagiati asintomatici. E, soprattutto, a differenza dei loro colleghi asiatici, si sono preoccupati in modo ossessivo e ridicolo del presunto razzismo, come se all’improvviso in Italia fosse partito un pogrom anticinese. Una bieca manovra che celava la sudditanza di Roma a Pechino per i due spicci del progetto neocoloniale della Via della Seta – e delle arance di Sicilia, ça va sans dire.
Tutto sommato, se non ci fossero state quelle sceneggiate, su cui l’ambasciata cinese, sapendo che siamo dei gonzi, ha saggiamente speculato, nessuno avrebbe rinfacciato a Giuseppe Conte e soci quest’epidemia. Invece, eccoci qua. Con l’oscuro funzionario pechinese che certifica il dilettantismo dei sedicenti competenti. Con un morbo tutt’altro che sotto controllo. E con un premier talmente nel pallone da sembrare Oronzo Canà.