Articoli

Se Draghi dovrà dire ancora “whatever it takes”

Articoli

Il contagio arretra ma l’Italia chiude. Perché? Il lavoro dell’ingegnere Alberto Gerli non ne ha sbagliata una. Ieri è stato ascoltato dal Corriere della Sera e, dati alla mano, ha dimostrato che dopo il 20 marzo il contagio calerà non grazie ma nonostante e indipendentemente dalle “zone rosse”. Dunque, perché chiudiamo? Perché il ministro della Salute, che purtroppo Draghi ha lasciato al suo posto, non ci capisce niente e per nascondere il suo fallimento ricorre a chiusure materiali e mentali alle quali la Gelmini, che ha preso il posto di Boccia, si accoda per miopia e timore. Quando saremo fuori da questo incubo avremo sconfitto due volte il male: una volta l’epidemia e una seconda volta il fallimento di Speranza. Tuttavia, c’è dell’altro.

Lockdown, Draghi come Conte

La politica svolta da governo Draghi si caratterizza per due novità e una continuità. Il governo Conte non aveva né un piano per la vaccinazione, né un piano di rilancio. La novità del governo Draghi, che ha dato il benservito ad Arcuri e a Borrelli, consiste nell’aver approntato in poco tempo il piano della vaccinazione di massa, che ora va verificato sul campo; e nella progettazione, ancora in corso, del piano di rilancio economico del Paese. Sul terzo punto, però, Draghi è sulla stessa via di Conte: si va da una chiusura all’altra, da una zona rossa all’altra da un lockdown all’altro. Il ministro è lo stesso e la politica sanitaria (inesistente) continua ad essere quella delle chiusure che, dati e morti alla mano, sappiamo essere inutile e dannosa. Per dirla con l’ingegner Gerli: l’epidemia rallenta e il contagio cala “indipendentemente” dal lockdown. Siccome non possiamo ritenere che queste informazioni non siano note anche a Mario Draghi, allora, ci si chiede: perché all’atto della formazione del governo non è stato lasciato a casa Roberto Speranza e non è stata cambiata la linea della chiusura più estrema e insieme più dannosa che ci sia in Europa e al mondo?

La risposta non può che è essere politica e di estrema realpolitik: Draghi, d’intesa con il capo dello Stato, ha lasciato ai partiti la linea politica e sociale della gestione dell’epidemia e siccome i partiti, senza grandi differenze, sono tutti accomunati dalla ossessione della sicurezza a spese altrui e dall’illusione dell’efficienza delle politiche stataliste, ecco che il risultato è la continuità con il governo precedente. Se a questo si aggiunge il racconto dei mezzi di comunicazione che è costantemente contrassegnato dalla sollecitazione della paura e dal mito della Sicurezza Assoluta, allora, si può capire facilmente che Draghi su questo aspetto preciso si è limitato ad assecondare una situazione che ha trovato perché così gli conveniva fare per poter creare il nuovo governo. Prudenza? Può darsi. Mancanza di coraggio? Può darsi. Tuttavia, c’è dell’altro.

Quando arriverà la discontinuità

Il ricorso all’ennesimo inutile lockdown è una sorta di scommessa sul tempo. Si scommette che giunti ad aprile ci siano i vaccini e che sia partita la vaccinazione a pieno regime e che, insieme, il calo del contagio non risalga. Se le cose andranno così, allora, il racconto delle opere e dei giorni canterà vittoria e i partiti potranno dire che sono state fatte le scelte giuste, dopo un anno di disastri! Ma se le cose non dovessero andare così? Sappiamo che se qualcosa può andare storto andrà storto. Sappiamo che gli stessi vaccini sono fondamentali ma non risolutivi al cento per cento.

A questo punto Draghi non potrà fare altro che prendere atto che la linea della chiusura andrà cambiata e che il governo finalmente dovrà lavorare sulla politica sanitaria puntando tanto sulla vaccinazione quanto sulla medicina di base e le cure domiciliari. Speranza dovrà lasciare il posto ad un ministro.

PaginaPrecedente
PaginaSuccessiva