Oggettivamente viviamo in un Paese che, per alcuni versi, è, giuridicamente parlando, un Paese troglodita. Personalmente me ne vergogno. Prendiamo l’articolo 278 del codice penale: «Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica (PdR, nel seguito) è punito con la reclusione fino a 5 anni». Trovo questo articolo offensivo. Innanzitutto perché discrimina tra il PdR e qualunque altra persona. Non si capisce perché sia vietato offendere onore o prestigio del PdR più di chiunque altro. Si potrebbe pensare che con PdR s’intenda la figura istituzionale e non la persona che accidentalmente occupa quel posto. Purtroppo il Brocardi chiarisce che «il reato si consuma in riferimento sia a fatti che ineriscono all’esercizio o funzioni cui il PdR è preposto, sia a fatti privati del PdR, anche anteriori all’attribuzione della carica».
Il ruolo del Quirinale
Insomma, posto che concordo che nessuno può arrogarsi la libertà di offendere chicchessia, a quanto pare se a un chicchessia accade la ventura di essere nominato PdR, tutti gli altri chicchessia non meritano una menzione speciale in ordine alla possibilità di essere offesi nell’onore o nel prestigio. Curiosa è anche la parola «prestigio», che è una cosa che, tipicamente, ci si conquista vivendo. Come l’autorevolezza. L’autorità, invece, è una cosa imposta. Il codice penale, quindi, prevede che la persona del PdR diventi per legge «persona di prestigio». Insisto sulla parola «persona» perché è di essa (e non della carica) il prestigio cui l’articolo si riferisce (almeno così chiarisce il Brocardi).
L’articolo del codice penale fa il paio col numero 90 della Costituzione, ove, se si esclude l’alto tradimento, «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni», altro articolo di cui mi vergogno. Giacché, al contrario, ci si attenderebbe che quanto più alta è la responsabilità che pesa su qualcuno – per la propria posizione o, appunto, prestigio della stessa – tanto maggiormente responsabile dovrebbe essere costui in ordine alle proprie azioni. Invece no: la Costituzione, che i fessi del mondo dicono essere la più bella del mondo, scrive chiaro e tondo: il PdR non è responsabile dei propri atti di PdR.
Peggio di Monti solo Conte
Tutti noi rammentiamo, e ancora piangiamo, gli irreparabili danni che il governo Monti fece all’intero Paese. Non è, questa mia, un’opinione personale, ma un fatto oggettivo. Intanto perché ne pianse in pubblico perfino una ministra di quel governo. Poi perché, quando si concluse quel governo e si andò alle elezioni, Monti volle candidarsi e fondò il partito Con Monti per l’Italia: era il 28 dicembre 2012. Sonoramente bocciato dal 92% degli italiani, egli si dimise da presidente del partito da egli stesso fondato: era il 17 ottobre 2013. Nel 2015, infine, Monti abbandonava definitivamente Con Monti per l’Italia, fondato appena 2 anni prima. Nella Storia repubblicana, peggio di Monti ha fatto solo Conte. Ma il responsabile di chi ci ha imposto Monti non ha alcuna responsabilità della propria azione: articolo 90 della Costituzione più bella del mondo.
Peggio di Monti è stato Conte, dicevo. Anche questa non è un’opinione personale, ma un fatto. Questo Conte ha avuto l’opportunità di governare con l’intero arco parlamentare, una prima metà nel Conte I e l’altra metà nel Conte II: s’è dimostrato incapace di tenere insieme le proprie maggioranze. La cosa è successa nel passato, ma nessuno aveva mai spaziato nell’intero arco parlamentare. E taccio degli 90.000+ morti del modello Conte anti-pandemia. Un uomo di governo palesemente incapace, quindi, questo Conte.
Governo di non eletti
Ma chi ce lo ha messo in quel posto non ha alcuna responsabilità per avercelo messo: articolo 90 della Costituzione più bella del mondo. Soprattutto la seconda volta, quando, senza pudore, gli dette l’incarico di formare il governo col Pd. Noi non abbiamo nulla contro il Pd, ma il fatto è che in questa legislatura il Pd è il partito sonoramente bocciato alle elezioni, essendo passato dal 27% (2013) al 19% (2018) dei consensi. Che il Pd governi è un golpe, a meno che si vada a elezioni e dimostri di aver riconquistato il consenso perduto.
Ora, dopo il finto incarico di consultazione a tale Fico (il cui curriculum, prima di essere eletto nel parlamento, è: «responsabile dei camerieri di un albergo, guida turistica, importatore di tessuti dal Marocco, impiegato in un call center»), il PdR, anziché sciogliere le Camere e indire le elezioni – cosa che ha detto di non fare con motivazioni che offendono l’intelligenza di Giufà – ha deciso di ripercorrere i passi del suo predecessore. Tanto, mai gli si potrà chiedere conto delle proprie azioni: articolo 90 della Costituzione più bella del mondo. Della quale io mi vergogno.
Mi auguro che il loro fiuto non si fermi a pochi centimetri dal proprio naso, e Meloni, Salvini e, magari, Berlusconi non sostengano il futuro governo, sia esso guidato da Draghi o da altri. O, se l’avranno fatto, che sapranno prenderne le distanze quanto prima. Gli inevitabili errori di un governo di non eletti ricadranno tutti su chi quel governo avrà sostenuto. E al più tardi nel 2023, salvo altri golpe, si va ad elezioni.
Franco Battaglia, 8 febbraio 2021