di Matteo Milanesi
Dopo Giovanni Leone e Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi sarebbe il terzo Presidente del Consiglio a ricoprire anche la carica di Capo dello Stato. Nessuno di loro, però, aveva fatto direttamente il salto da Palazzo Chigi al Quirinale. L’ex numero uno di Banca d’Italia e Bce parrebbe essere la scelta preferita sia della politica che dei cittadini italiani.
Basta governo senza elezioni
Se l’ipotesi di un cambio di poltrona in corsa dovesse effettivamente verificarsi, l’Italia si troverebbe dinanzi al quarto governo degli ultimi quattro anni in una sola legislatura. Tutto legittimo sotto il profilo costituzionale – e, probabilmente, un ripensamento del sistema parlamentare a favore di un indirizzamento presidenziale sarebbe più che doveroso – ma è evidente che la scelta si tradurrebbe, ancora una volta, in una “decisione di palazzo”, di fatto sottraendo al popolo l’ultima parola sulla nascita del nuovo esecutivo.
Il caos in Parlamento
È vero: il cittadino non vota mai il governo, ma appare chiaro come il voto del 2018 espresso dalla maggioranza popolare non rispecchi più in alcun modo lo scacchiere parlamentare di oggi. Da una parte, il Movimento 5 Stelle, dopo essersi scoperto europeista e filo-draghiano, è lacerato da numerose divisioni interne, che fanno trasparire l’idea di una precarietà della leadership di Giuseppe Conte. Dall’altra parte, Giorgia Meloni sfiora il 20 per cento ininterrottamente da un anno, mentre nelle aule parlamentari può vantare solo 21 senatori e 37 deputati.
Se Draghi sale al Colle, si torni alle urne
Insomma, è evidente come lo scacchiere politico-parlamentare sia stravolto rispetto a quattro anni fa. Pandemia ed il nuovo governo tecnico di Draghi hanno sicuramente segnato un punto decisivo nell’incremento dello stacco tra demos e kratos; ed il fatto che, nell’ipotesi in cui si concretizzasse l’operazione Draghi al Quirinale, si dia per scontato la nascita di un nuovo governo tecnico, pare essere un nuovo duro colpo al tessuto legislativo e politico del Paese.
Eppure, il principio essenziale di legittimazione della classe politica è proprio quello della rappresentanza, della scelta da parte dei cittadini dei propri rappresentanti, che agiscono in quanto delegati dal popolo stesso.
In questo biennio pandemico, il rapporto si è rovesciato: è la tecno-politica che spiega all’individuo come e quando può applicare le sue libertà costituzionalmente tutelate, nonché quali sono le precondizioni necessarie per il loro esercizio.
Alexis de Tocqueville, giurista e pensatore liberale, fu uno dei primi a comprendere come possano stabilirsi regimi totalitari in un contesto democratico; proprio perché tutti i regimi autoritari si fondano su promesse utopiche di uguaglianza e libertà degli uomini.
Si badi bene. Sarebbe un errore credere che vaccino, Green Pass e decisioni dei “competenti” siano la strada per la libertà. Quest’ultima è diritto naturale proprio di qualsiasi individuo, svincolata dal contesto di emergenza o di difficoltà politiche di qualsiasi periodo storico. Non subordiniamola a strumenti sicuramente decisivi nel contrasto della pandemia, ma che possono essere strumentalizzati in nome di un “fine emergenza mai”.