Se è la moglie a uccidere, il genere non esiste

Investito e ucciso in bici, il complice: “La compagna ci ha promesso una casa”

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Ravasio (1)

Milano è una cintura. C’è la città grande bella infame come la cantava Gaber, e intorno c’è, rantolante, strangolante, la cintola dell’hinterland fatto di paesi infami e basta, di quello squallore storico, anodino, condottieri del Duecento e ombre lunghe pesanti, la Vigevano che faceva impazzire Mastronardi, la cinta della ricchezza ossessiva e arida del dopoguerra democratico sviscerata da Giorgio Bocca, “fare soldi per fare soldi per fare soldi, se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste”, tutti i centri vampireschi d’inverno che finiscono in -ate, decine, centinaia, da cui la battuta facile, greve, “scusi vado bene per Trombate?”, o in -ago, come il Parabiago tutto ombre, scarpe e ciclismo, un Saronni campione del mondo e poi basta, poi i bar oscuri nelle sere d’inverno che non passa mai o nell’estate rantolante di afa e, dietro il basta, dentro il nulla che non basta mai, certe voglie feroci ma facili, ossessive ma demenziali come un omicidio che sembra uscito fuori da una parodia di Agatha Cristhie.

Uno di 52 anni, il Fabio Ravasio, che se ne va sulla sua bicicletta da hinterland e, nella prima sera ancora accesa, un accenno di tramonto prima delle ore 20, sbuca una macchina scura che lo centra e sparisce: hanno pure simulato lo sbandamento accidentale, il pilota che sbatte di qua e di là per far vedere che ha perso il controllo, come un ubriaco di grappini nel lungo vuoto pomeriggio parabiaghese. Il delitto perfetto! Ma i carabinieri di Legnano nell’agosto di cintura, sterpaglie e puzze di fogne, di vapori residui, di solventi, di fabbriche sopravviventi alla moria della globalizzazione, ci mettono poco a risalire ai presunti responsabili, cinque più una donna, la ex del Fabio: li portano in caserma e quelli cantano subito, “hanno rilasciato ampia confessione” perché un conto sono i sogni criminosi da influencer o da hinterland, e un conto la realtà della galera che ti tiene al fresco ma non come al bar delle ombre lunghe. Si vedrà, però vedi caso, nessuno che fa una piega: la mente perversa pare proprio la ex del Fabio ma nessuno tira fuori i rompimenti balle del “genere”, il maschio tossico, il patriarcato. Va beh che gli altri 5 tutti maschi, però insomma dietro, forse, si dice, stava la Circe di Parabiago e per cosa? “Movente legato a finalità patrimoniali”, fare soldi per ammazzare per fare soldi.

Chi sa quali pendenze, quali patrimoni ballavano a Parabiago per giustificare, sempre secondo accuse che attendono il giudizio, un omicidio collettivo così strampalato, così banale in fondo: appena lo troviamo, lo tiriam sotto con la macchina e chi s’è visto s’è visto. Omicidi balordi di gente balorda, stordita dalla noia, dal più niente della cintola dell’hinterland. Questi scannamenti, fateci caso, più sono trucidi e più affondano nelle nebbie, nei vapori della provincia o della cintura. La studentessa vicentina Giulia Cecchettin, trucidata da un ventenne morboso, poi quanti altri? Il prossimo a Brembate, ah, ancora quella desinenza in -ate, dove hanno massacrato una barista e si parla di mistero ma, vedrete, è questione di ore, a Brembate tutto si mormora e tutto si sa ma occorre far le cose con calma, secondo la strategia morbida, della goccia, dei cerchi che si stringono lentamente, inesorabilmente. Delitti d’agosto, ma il patriarcato tossico sovranista maschista e tutte le desinenze in -ista scatta solo alla bisogna, se no si fa finta di niente. La Narrazione, che è stupida e capillare, si preoccupa degli affari a dimensione globale, i milioni del mercato fluido, i triliardi delle transizioni green, delle riconversioni elettriche, anche ieri un rogo di un motorino elettrico ha fatto una strage, ma non può trascurare, la Narrazione, le inezie feroci e banali come a Parabiago dove tirano sotto un ciclista per questioni patrimoniali e siccome c’è di mezzo, pare, si dice, si accusa, una ex, allora si tira via, ma sì, cose loro, miserie loro, se la veda la procura di Busto Arsizio.

Cretini, proprio cretini: hanno usato la macchina di uno dei coinvolti, neanche si sono preoccupati di coprirsi con un mezzo anonimo. Proprio da metterci la firma, siamo stati noi. E appena li convocano, quelli crollano e cominciano a rimpallarsi accuse gutturali, chissà che denari, che patrimoniale povertà doveva cambiare la vita a chi trama, ordisce e poi agisce, uccide nel modo più obnubilato, più cretino. Ma per carità non scomodate il genere: c’è la matria della Murgia, che è buona anche se è solo una invenzione lessicale, e poi c’è il patriarcato che è cattivo per definizione e mai scambiare i ruoli. Quello che invece non si dice, è che questo patriarcato tossico è quasi sempre insufflato dalle donne, dalle madri dei mostriciattoli che non danno tregua a chi li ha lasciati fin che non le annientano e le mamme carnivore a giustificarli, a minimizzare, a sostenere, perfino dopo aver rilasciato “ampia confessione”. Il cronista ha antica e nuova memoria di fatti del genere, sempre orridi e sempre uguali, ed è quasi una costante.

Ma se la mente oscura è una femmina, zitti e muti o meglio si trova sempre un modo per dirottare la colpa fino a rifluirla nel grande fiume patriarcale. Parafrasando Julio Iglesias, “se una donna ammazza, ammazza a metà, in cinque minuti non eri più là”. Basta puntarlo il Fabio, vederlo sbucare lungo la strada nel tramonto e centrarlo come un birillo umano, la macchina che va via sbandando, che draghi questi del delitto perfetto a Parabiago. Cose che succedono nella cintura che strangola Milano, in agosto, quando chi non è sparito in viaggio organizzato resta inchiodato alle ombre e la noia si fa più carogna e la voglia di vendicarsi col destino, col mondo, col Padreterno che fa sempre, anche lui, le sue preferenze e ti fa nascere e morire a Parabiago, è insopportabile, insopprimibile e poi i carabinieri la chiamano finalità patrimoniali.

Max Del Papa, 26 agosto 2024

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