Nei prossimi, alla Camera, si discuterà un decreto legge riguardante la pubblica amministrazione che, tra le altre cose, modifica i criteri di formazione e selezione del personale docente. In particolare, facendo seguito alla riforma Bianchi, viene precisato come dovrà svolgersi quel processo di abilitazione che, seguendo specifici corsi, consente ai laureati di partecipare ai concorsi.
È a questo punto che, da parte delle università tradizionali è stata avviata un’azione politica per penalizzare la concorrenza degli atenei telematici. Esse sono così riuscite a inserire nel testo del decreto una formula che consente soltanto corsi “sincroni” (e cioè non registrati), al fine di penalizzare proprio le università telematiche. Per ragioni evidenti, però, queste ultime sono proprio le realtà meglio posizionate per soddisfare l’esigenza del pubblico in questa circostanza.
Quanti sono già laureati e lavorano hanno oggettive difficoltà a seguire lezioni in diretta: siano esse in presenza oppure on line. Per loro è molto più agevole acquisire le conoscenze che conducono all’abilitazione utilizzando lezioni registrate, che possono ascoltate la sera o nei fine settimana. Senza scordare che le università online hanno elaborato efficaci strumenti didattici specifici per la rete.
Sembra che nel Palazzo nessuno abbia compreso a quali odissee spesso devono sottoporsi quanti devono ottenere questi crediti formativi. Come ha raccontato su La Repubblica una giovane insegnante torinese di sostegno, per un anno la sua vita è stata divisa tra il Piemonte e la Sicilia, dato che il numero dei posti disponibili a Torino era limitatissimo e di conseguenza non ha potuto frequentare nella sua città. Invece è stata ammessa a Enna, dove però ha dovuto affittare una casa per poter seguire le lezioni nei week-end. Un vero delirio a cui le università telematiche potrebbe offrire una risposta molto efficace.
La volontà di ostacolare i corsi on line è parte di un duro scontro in atto. Da una parte abbiamo la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), un’associazione privata che riunisce gli atenei in presenza e che però ha un peso politico enorme; dall’altra le nuove università telematiche, che anche grazie alla pandemia hanno avuto una crescita impressionante nel numero di iscritti e laureati. La Crui tende a presentarsi come un’istituzione caratterizzata da una qualche “ufficialità”, ma non è così. Com’è risultato ancor più evidente nel momento in cui ha modificato il proprio statuto (escludendo la possibilità che possano aderirvi le università on line), si tratta ormai una lobby di università per lo più di Stato, e per giunta costrette quasi sempre a fare i conti con un calo degli iscritti e dei laureati.
Comprensibilmente i rettori del vecchio mondo accademico fanno i loro interessi: stanno perdendo posizioni anno dopo anno e provano a reagire. Per risalire la china, però, dovrebbero innovare le loro offerta didattica e creare più spazi per la libera ricerca, invece che provare a mettere i bastoni nelle ruote a quanti stanno lavorando per un sistema universitario più plurale. Non tutte le università tradizionali sono sulla difensiva: alcune di loro, in effetti, sono molto dinamiche e non temono la concorrenza, ma proprio per questo non dovrebbero avallare la battaglia corporativa condotta dalla Crui.
Per fortuna, il gioco è ancora aperto. Due emendamenti a firma degli onorevoli Paolo Emilio Russo (Forza Italia) e Igor Iezzi (Lega), che dovranno essere discussi alla Camera, prevedono la possibilità che i corsi abilitanti possano svolgersi anche grazie alle registrazioni. Se gli emendamenti presentati dagli esponenti della maggioranza saranno approvati ne trarranno beneficio i futuri docenti, che non dovranno necessariamente spostarsi da un lato all’altro della Penisola e avranno una possibilità in più per conseguire la loro abilitazione, ma soprattutto la concorrenza tra atenei, che non deve essere intralciata da questi piccoli giochetti.
L’università ha bisogno di più libertà, e non di meno. Ha bisogno di innovazione didattica, e non già della stantia riproposizione delle vecchie formule. Ha bisogno di una più ampia competizione, e non del monopolio di apparati statali schierati a difesa dello status quo. Quello che nelle prossime ore succederà alla Camera può allora dirci parecchio sull’università di domani e sulla sua capacità di affrontare le sfide del nostro tempo.
Carlo Lottieri, 18 luglio 2023