Forse possiamo provare a riflettere sul Gretinismo – questa nuova faccia dell’ambientalismo che sembra aver obnubilato le menti del pianeta, comprese quelle più raffinate e insospettabili – guardando le cose da un altro punto di vista. Bisogna essere consapevoli che la legittimità d’esistenza che si dà oggi a Greta e ai Gretini, questi avrebbero potuto averla anche un secolo fa, diciamo nel 1920, quando le emissioni di CO2 erano attive già da almeno mezzo secolo e il possibile problema oggi sollevato da Greta era già allora ben noto.
Supponiamo ora che la richiesta pressante della ipotetica Greta del 1920 di raggiungere le emissioni – zero fosse stata effettivamente esaudita, e nel 1950 si fosse raggiunto l’agognato obiettivo. Oggi non avremmo auto, autobus, metropolitane, autostrade, fabbriche, industrie, televisione, telefonia mobile, internet, ambienti riscaldati d’inverno e rinfrescati d’estate. Non ci sarebbero frigoriferi né lavatrici, aerei o navi da crociera e neanche treni, né lenti né, tanto meno, ad alta velocità (almeno la Tav non sarebbe stata un problema; neanche lessicale di genere, circostanza che ci avrebbe evitato questa caduta nel ridicolo). In pochi anni, l’umanità sarebbe tornata allo stile di vita del 1850. Chissà, forse la schiavitù avrebbe smesso di essere quel tabù che era nel 1920, e che non era tale nel 1850, quando invece era pratica legittima nell’America di allora, popolata da 30 milioni d’abitanti con 4 milioni di schiavi.
Ecco questo è ciò che ci aspetta se davvero dovesse raggiungersi il livello-zero d’emissioni. Perché, piaccia o no, quasi il 90% di ciò che facciamo lo facciamo emettendo CO2. Né sappiamo farlo diversamente. Non è vero, direbbe il Gretino d’oggi: per esempio, col fotovoltaico produrremmo energia elettrica. No, se dovessimo affidarci a esso, le televisioni potrebbero chiudere: i massimi ascolti sono quelli della prima serata, ma di sera il sole non brilla. E anche i treni di notte si fermerebbero. E anche di giorno, in tutti quei momenti che, col cielo coperto, il sole insiste a non brillare. E col vento non è diverso. Se avete mai assistito alla Barcolana, la spettacolare regata di barche a vela che si svolge la seconda domenica d’ottobre a Trieste, avrete visto che se il vento si ostina a non soffiare, le barche biancheggianti sulle acque come branchi di pecore pascenti – direbbe il poeta – rimangono sconsolatamente ferme.
Viste le cose da questa prospettiva, mi chiedo se i vari Gretini che hanno tanto pontificato sugli organi d’informazione d’ogni ordine e grado torneranno in qualche modo sui propri passi. Temo di no, perché l’essenza del Gretinismo è la granitica incapacità a distinguere il sogno dalla realtà. A differenza dei Gretini, la piccola Greta – o chi per lei – se n’è accorta, e s’è definita essa stessa “una che sogna un mondo migliore”. Il verbo è sapientemente pesato: non “desidera”, non “spera”, non “s’impegna per”, ma “sogna”. I Gretini sono quelli che hanno preso per realtà concreta ciò che la loro sacerdotessa li ha avvertiti essere sogno.
Quanto a Greta, quello suo all’Onu non era un discorso accorato e men che meno pensato: parlava una arrabbiata. Indemoniata, direi. Invece di ringraziare la generazione che l’ha partorita e che le ha consentito di stare al caldo in un Paese decisamente inospitale per il freddo che fa, essa inspiegabilmente ha sputato astio e veleno sui propri genitori, nonni e bisnonni. Ma le spiegazioni neanche c’interessano: essa non è così importante da meritare alcuna nostra ricerca nelle làtebre della sua mente per cercare di capire cosa vi è nascosto. Dovrebbero però indagare, a nostro avviso, gli attivisti di Telefono Azzurro e i magistrati, per capire perché nessun adulto protegga dai trafficanti di bambini questa ragazzina, la cui patologia la rende così vulnerabile – ci dice la medicina – a monotematiche fissazioni.
Franco Battaglia, 28 settembre 2019