Se il Pd non dà garanzie sufficienti, non si scuote dal torpore, non si rianima, allora ci pensa direttamente il PdR, il “Partito di Repubblica”, inteso come gruppo editoriale Espresso-Repubblica, a dettare la linea a sinistra, e a spingere un “ticket” di potenziali leader per la crociata contro Matteo Salvini.
Si rovesciano le parti, insomma: non un apparato mediatico a supporto di una linea di partito, ma viceversa. Quel che resta di un partito e le sue propaggini parlamentari chiamati a uniformarsi a una linea editoriale predefinita, che include anche l’indicazione dei volti da spendere nel dibattito pubblico.
Ma, proprio come nei congressi di partito, prima dei nomi vediamo la “piattaforma”, il programma: che è sempre lo stesso, e cioè l’aggressione morale e giudiziaria dell’avversario. Per una ventina d’anni, è stato lo schema classico utilizzato contro Berlusconi: ora occorre solo adattarlo a Matteo Salvini. Ecco dunque la sequenza di copertine de L’Espresso sulla questione dei soldi della Lega e poi l’attacco personale diretto di un paio di settimane fa (“Uomini e no”: tanto il povero Vittorini non può difendersi dalla citazione) contro Salvini, con la prima pagina divisa in due (il volto sofferente di un immigrato nero contrapposto al volto del leader leghista in versione truce), arrivando a “disumanizzare” il bersaglio, a negargli connotati umani e civili. Un nemico, insomma, non più solo un avversario.
È una linea minoritaria, eccessivamente aggressiva, che non aggrega incerti e indecisi: ma a chi l’ha decisa sembra importare poco. L’essenziale per il PdR è tenere insieme un consistente zoccolo duro di (e)lettori, quelli più incattiviti e politicamente spaesati, visto il caos a sinistra.
Fatta la linea, occorrono gli interpreti. E anche qui lo scavalcamento del Pd è abbastanza evidente: le primarie sono lontane, tutto l’arcipelago renziano-renzista è fatto di volti non più spendibili, non ci sono nel partito (o non si intravvedono) figure giovani da “adottare”, Martina è ritenuto troppo scolorito perché gli elettori possano identificarsi e affezionarsi.
E allora che si fa? Tanto vale lanciare direttamente a mezzo stampa un “ticket”, due figure eterogenee ma di forte impatto mediatico, tra loro diverse ma complementari, utili alla campagna estiva contro Governo e Salvini. Poi il tempo dirà se saranno in grado di conquistarsi una vera leadership, o se dovranno solo fungere da elementi di complemento rispetto alla squadra politica che verrà fuori da congresso e primarie Pd, realisticamente nel primo trimestre del 2019.
Di chi si tratta? Semplice: di Roberto Saviano e Tito Boeri. Uno scrittore e un economista, uno per “coprire” la questione immigrazione e l’altro da scatenare su pensioni e conti pubblici, uno per “affascinare” e l’altro per offrire “competenza”. Solo così si spiega l’incredibile accelerazione nelle polemiche innescate dall’Oracolo campano-newyorchese e dall’Aspirante Martire dell’Inps.
Il primo, che nei giorni scorsi (guadagnandosi una querela, resa nota dal Ministro dell’Interno in persona) è arrivato a dire che a Salvini “dà piacere veder morire bimbi innocenti in mare”, da tempo cerca l’escalation: non si accontenta più di una normale polemica, di un confronto civile. Vuole attribuire a Salvini i panni del mostro con un doppio obiettivo: ottenere spazio mediatico per sé accreditandosi come oppositore coraggioso, e mettere a disagio una parte della base grillina, colpevolizzandola per la vicinanza al “ministro della mala vita”.
Il secondo, altrettanto palesemente, come ha dimostrato una volta di più in audizione in Commissione alla Camera, spera che a qualcuno nel Governo saltino i nervi, fino a licenziarlo: ricevendo a quel punto la “patente” ufficiale di “vittima del regime”.
Prepariamoci a un’estate e poi a un inizio d’autunno così: il copione è tutto sommato prevedibile. Da un lato, lo stillicidio di Saviano sull’immigrazione, con l’inevitabile e macabro corollario di polemiche sui corpi senza vita nel Mediterraneo (come se la responsabilità fosse del Governo e non dei trafficanti di esseri umani), e dall’altro la “resistenza” di Boeri, che non perderà occasione per fare da controcanto all’Esecutivo fino alla legge di stabilità, autonominandosi custode dei conti pubblici e certificatore della (in)sostenibilità delle proposte gialloblu.
Il PdR non ha bisogno di consigli, e meno che mai da qui siamo intenzionati a dargliene. Ma, in tutto questo piano, l’errore è sempre lo stesso. Elabora una strategia che è assai convincente per le classi altissime (appunto: per i presumibili lettori di Repubblica), per chi vive nella Zona 1 di Milano e nel Primo Municipio di Roma, non a caso le aree dove la sinistra regge ancora.
Ma a tutti gli altri italiani, in particolare alle immense periferie urbane che sentono il dramma dell’immigrazione e della criminalità comune (altro che “percezione”: Boeri, Saviano e i loro cari si facciano un giro a Quarto Oggiaro, a Rogoredo, a Lambrate, oppure – quando sono a Roma – a Tor Sapienza e San Basilio), e all’enorme ceto medio e medio basso che cerca una scossa economica e non si accontenta più dei convegni sullo “zero virgola”, le ramanzine, gli appelli e le interviste su Repubblica non
interessano granché.
Daniele Capezzone, 23 luglio 2018