È una piccola fissazione di questa rubrica: il rapporto tra liberali e popolo, tra libertà e democrazia. La prima può essere sottomessa dalla seconda? Una norma è necessariamente accettabile per il semplice motivo che viene decisa con una procedura, definita democratica? Quando si interrompe questo ingranaggio?
Pensateci bene, e in questo caso l’obiezione è fatta da sinistra, il tema riguarda anche i cosiddetti progressisti, quelli che per definizione sono sempre democratici. Per i progressisti di tutto il mondo i giudici della Corte suprema americana, in quanto nominati dal presidente, oggi non sarebbero veri rappresentanti del popolo. Ma si tratta di una questione di numeri. Il presidente in effetti è eletto dal popolo e, dopo il vaglio di altri eletti dal popolo e cioè i senatori, nomina i giudici costituzionali. Dunque alla fine la rappresentatività, anche se per diverse leve, è garantita. Dall’altra parte quanto è rappresentativo, si chiedono alcuni oggi, un parlamento come quello italiano in cui il primo partito, si ritiene ai minimi termini? Insomma lontano dai desideri del popolo.
Al centro di tutto vi è dunque il supposto volere del popolo e la sua più o meno nitida rappresentazione da parte delle istituzioni. Ecco perché leggendo un romanzo, un bel romanzo dello spagnolo Javier Maria, Berta Isla, ho trovato questo paragrafo fulminante. È una delle pagine più straordinarie sulla dittatura della maggioranza, sulla presunzione della sua buona fede, il vero populismo verrebbe da dire.
Scrive: “Il popolo, spesso meschino e vigliacco e insensato, i politici non si azzardano mai a criticarlo, non lo rimproverano né gli rinfacciano come si è comportato, anzi, invariabilmente lo esaltano, per quanto poco sia degno di essere esaltato, in nessun paese. Ma è stato eretto a intoccabile e ormai è come gli antichi monarchi dispotici e assoluti.
Come loro, possiede la prerogativa della velleità impune, non risponde di ciò che vota né di chi elegge, di ciò che sostiene, di ciò che tace e consente oppure di ciò che impone e acclama. Che colpa aveva del franchismo in Spagna, come del fascismo in Italia o del nazionalsocialismo in Germania e in Austria, in Ungheria e in Croazia? Che colpa aveva dello stalinismo in Russia o del maoismo in Cina? Nessuna, mai; il popolo è sempre vittima e non viene mai punito (certo non si punisce da sé; di sé ha compassione e pietà). Il popolo non è che il successore di certi re arbitrari e volubili, solo che ha un milione di teste, come dire che è senza testa. Ciascuna di quelle teste si guarda allo specchio con indulgenza e si giustifica con un’alzata di spalle: ‘ah, io non sapevo. Io sono stato manipolato, persuaso, mi hanno ingannato e fuorviato. Che cosa potevo saperne io, povera donna, povero ingenuo che sono’.
La complicità del popolo è così largamente suddivisa che sfuma e si diluisce e nell’anonimato i colpevoli hanno piena facoltà di commettere nuovi delitti, non appena sia passato qualche anno e nessuno ricordi più quelli di prima”.
Nicola Porro, Il Giornale 3 luglio 2022