Dopo sei mesi di discussione in Commissione Affari costituzionali è iniziato l’iter parlamentare per l’autonomia differenziata. Nell’aula del Senato sono infatti partiti ufficialmente i lavori per l’attuazione del ddl Calderoli, che immediatamente ha fatto registrare le proteste dei sindaci di centrosinistra del Sud, che, ricordiamolo, vi hanno aderito principalmente in risposta agli appelli lanciati dai senatori di opposizione dei collegi meridionali.
E proprio questo è un primo punto su cui focalizzare l’attenzione: non è attualmente in corso una sommossa anti governativa guidata dagli amministratori del Meridione, come da più parti riportato, semmai dei presidi promossi e organizzati dai partiti d’opposizione contro un’iniziativa legislativa del governo. Una normale protesta politica nei confronti di una riforma cara a un partito di centrodestra (la Lega), da parte di esponenti politici di centrosinistra, non una rivolta popolare. Doveroso puntualizzarlo, viste le notizie apparse su taluni organi di stampa, evidentemente per nulla benevoli nei confronti di un esecutivo a più riprese accusato di voler lasciare indietro il Mezzogiorno d’Italia, o peggio, di volere spaccare in due il paese.
Ebbene, proprio quest’ultima è un’altra questione cruciale su cui è opportuno centrare il focus: la presunta spaccatura tra Nord e Sud, che verrebbe a originarsi nel paese per effetto della riforma sulle autonomie. Opposizioni e sindacati non perdono infatti occasione per rimarcare tale eventualità, dimenticando probabilmente che tale problema in Italia esiste già sin dalla sua genesi, con differenze peraltro significative proprio in quei settori che, secondo la propoganda anti governativa, dovrebbero essere fortemente danneggiati dalla riforma (sanità e istruzione su tutti).
Di più: affermare che l’autonomia differenziata debba necessariamente rappresentare una condanna senza appello per il Meridione equivale a riconoscere l’incapacità delle regioni del Sud di gestire adeguatamente le risorse di cui dispongono, nonché ad attribuire una scarsa vocazione amministrativa all’intera classe politica meridionale (sinistra inclusa evidentemente). Ma se tutto ciò corrispondesse effettivamente al vero, e tali criticità fossero realmente riscontrabili nella realtà politico-amministrativa meridionale, sarebbe già di per sé un grossissimo problema per il Mezzogiorno, a prescindere dalla riforma sulle autonomie.
Per cui, chi parla (probabilmente in malafede) di riforma spacca-Italia ignora del tutto, o finge di ignorare, che quella spaccatura nel paese c’è già da tempo immemore (più o meno 160 anni) e non dipende certo dal ddl Calderoli, che potrà sicuramente essere criticato per mille altri aspetti, ma non gli si può di certo attribuire una divisione nata con l’Italia, che resta una criticità irrisolta da svariati decenni.
Pertanto, va bene sollevare perplessità in merito alla bontà e persino all’efficacia del ddl sulle autonomie, ma criticare la riforma esclusivamente sulla base dei citati argomenti risulta un esercizio fuorviante e pretestuoso, per nulla costruttivo, in quanto non tiene minimamente conto delle reali esigenze del paese (Meridione compreso), e anche parecchio incoerente, dal momento in cui, da un lato, denuncia a gran voce il presunto antimeridionalismo dell’esecutivo, ma dall’altro, considera il Sud per nulla autosufficiente e del tutto incapace di governarsi.
Salvatore Di Bartolo, 17 gennaio 2024