Quando la sinistra perde le elezioni, come accaduto in Umbria, parte subito la litania: il popolo non ha capito, il popolo è vittima della propaganda, il popolo è ignorante, siamo un paese di analfabeti funzionali, razzisti dentro e fascisti per natura. Tutto quello che un uomo di sinistra dovrebbe fare è piazzarsi davanti a uno specchio e chiedersi in tutta onestà: perché la pancia del Paese (espressione che usano per indicare la stima che nutrono per la plebe, la pancia infatti contiene la… sapete cosa) mi ignora? Perché in una città come Milano prendo voti soltanto nella zona C? Perché gli operai votano Salvini e l’alta finanza vota per me?
Proponiamo una risposta. Perché la sinistra, negli ultimi decenni, diciamo dal 1989, ha smesso di occuparsi di lavoro per dedicarsi alle battaglie del politicamente corretto, spesso ridicole, comunque marginali. Eppure mai come ora servirebbe un vero partito di sinistra capace di porre qualche stimolo (e pure qualche freno) al capitalismo di rapina che ha preso il posto del libero mercato (se mai è esistito).
Questo farebbe bene a tutti: anche alla destra italiana, che tende a replicare i difetti degli avversari e ha mostrato una povertà culturale deprimente. Un conto è ottenere il consenso, un altro mantenerlo e creare una classe dirigente: missione fallita per il vecchio centrodestra. Ma anche il nuovo non sembra sulla buona strada. Tutto ruota intorno al problema del lavoro: il reddito, l’occupazione, ovviamente, ma anche l’immigrazione, le pensioni e perfino il suddetto libero mercato. Invece niente da fare.
In questo campo la sinistra ha una sola cosa da proporre: tasse e assistenzialismo, proprio come il Movimento 5 stelle, l’alleato in effetti più adatto ai post-comunisti. Perdono e poi si lamentano. Non con sé stessi, rappresentanti del nulla (Pd) o Machiavelli di serie C, interessati al potere per il potere (Renzi). Se la prendono con gli elettori.
Alessandro Gnocchi, 20 ottobre 2019