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“Se sei bianco sei razzista”. L’ultima follia politicamente corretta

Leggendo i commenti ai pezzi usciti qui sulla Zuppa riguardo al politicamente corretto e Black Lives Matter, mi sembra ci sia un po’ di confusione. Il punto non è essere antirazzisti o “a favore” del razzismo (ma chi, oggi?). Alcune affermazioni, come il “genocidio” dei neri che sarebbe in corso in America, sono francamente insostenibili. Ma il punto non è neanche questo. Il punto è che quello che la stragrande maggioranza di voi chiama “antirazzismo” non corrisponde più con l’antirazzismo della sinistra identitaria americana, anzi ne è ormai in diretta opposizione.

Il punto è che voi siete tutti razzisti. E non importa se votate a sinistra, se frequentate i centri sociali e quanto ci tenete a salvare gli immigrati sui barchini. Tutto ciò non conta. Siete razzisti semplicemente perché siete bianchi. La vostra bianchezza include inevitabilmente tutti i pregiudizi e i privilegi delle società create dai bianchi e quindi intrinsecamente razziste. Guardate che non sto esagerando nulla. È la tesi esplicita del libro più venduto e discusso in America in questi mesi di Black Lives Matter: White Fragility di Robin DiAngelo [sic]. Lei è l’ennesima accademica americana politicamente corretta; una carriera basata sullo studio del razzismo che ovviamente vede in ogni cosa e ogni dove. È anche una “trainer dell’antirazzismo”.  In pratica, quando una azienda ha bisogno di dimostrare quanto sia impegnata nella lotta al razzismo, impone ai suoi dipendenti queste session di “sensibilizzazione”. Considerate che specialmente nel post-George Floyd, su questo mercato delle consulenze e dei seminari antirazzisti sono piovuti ulteriori risorse per milioni e milioni di dollari.

Cosa viene insegnato da Robin DiAngelo in questi workshop? Che siamo tutti uguali? Che non bisogna giudicare le persone dal colore della pelle? Queste cose le diceva Martin Luther King, decenni fa, Obama cinque anni fa e adesso, semmai, le dice Trump.  Ora invece il mondo è cambiato e il colore della vostra pelle è diventato il primo fattore per valutare chi siete e cosa pensate. Ieri potevano pensarlo i membri del Ku Klux Klan oggi lo dicono i sostenitori di Black Lives Matter. Se siete bianchi siete razzisti, questo vi spiega Robin DiAngelo (e, come corollario, se siete neri siete vittime dell’oppressione di bianchi).

Essere accusati di razzismo vi fa infuriare? Bene, è proprio la rivelazione del vostro razzismo a mettervi a disagio (questa sarebbe la White fragility, la “fragilità bianca”, del titolo). In pratica, questi training antirazzisti ricordano molto quei processi staliniani, dove, kafkianamente, l’imputato non aveva altre vie di uscita se non scusarsi nel modo più contrito possibile. La prefazione di White Fragility comincia proprio con la descrizione di uno di questi seminari. “Sono una donna bianca. Sono accanto a una donna nera. Fronteggiamo un gruppo di uomini bianchi seduto di fronte a noi”. Così inizia, accorata, Robin DiAngelo (e notare come razza e genere siano subito messi in primo piano, rispetto, per esempio, alla situazione economica dei partecipanti).
“La stanza è carica di tensione e piena di ostilità — prosegue DiAngelo —  Ho appena spiegato la definizione di razzismo che include il riconoscimento di come i bianchi opprimano, a livello sociale e istituzionale, le persone di colore”.

A questo punto uno dei dipendenti si alza protestando e sbattendo i pugni sul tavolo. Una reazione stizzita che, per DiAngelo, è la conferma dell’esattezza delle sue tesi: “I bianchi vivono in un ambiente sociale che li protegge e li isola dalle tensioni create dal razzismo”. Proviamo a vedere questo episodio, raccontato dalla DiAngelo stessa, in una luce diversa. Abbiamo due professoresse universitarie, persone il cui stipendio supera facilmente i 120 mila dollari annui più benefit. D’altra parte abbiamo i dipendenti, membri della working class, obbligati dal loro datore di lavoro ad assistere ad un seminario dove due accademiche privilegiate e profumatamente pagate li accusano esplicitamente “di essere privilegiati e razzisti”. Una accusa gravissima e pesante che in America è seconda solo a “pedofilo” e “stupratore”.  Che i membri della working class non la prendano bene mi sembra comprensibile. Eppure, con incredibile inconsapevolezza, DiAngelo riesce a raccontare tutto l’episodio come se lei e la sua collega fossero le vittime, l’elemento debole, esposte all’aggressività di questi maschi bianchi. Con buona pace di Marx, razza e genere hanno completamente scalzato la lotta di classe.

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