Se sei “partigiano”, ti puoi assembrare

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Domenica 25 aprile mentre il ministro Speranza più sghembo che mai diceva alla conduttrice di Stato, Mara Venier, che non era un libero tutti e raccomandava come al solito di non uscire, un po’ dappertutto si riversavano nelle piazze col pretesto della festa. Tutta gente della sua ideologia e pertanto protetta fino all’impunità: a Milano in piazza Castello, a Bologna centro, a Roma alla Piramide Cestia dove arrivavano ad accapigliarsi antagonisti e reduci dell’ANCI per stabilire chi era più ortodosso, chi odiava di più i fascisti. A Bologna in un parco facevano anche un rave party, musica, bottiglie e canne per celebrare degnamente la lotta antifascista. Rigorosamente senza mascherine ma protetti dal regime di cui, volendo, rappresentano il braccio propagandistico giovanile: manifestavano contro una dittatura morta quasi 80 anni fa, non per quella di oggi che ci strangola da 14 mesi.

A conferma di alcune verità scoperte: la liturgia della Liberazione è ipocrita, è pretestuosa allo stesso modo del coprifuoco, del lockdown e del distanziamento sociale, tutta mercanzia che coi nemici, cioè il popolo, si applica e con gli amici, i fannulloni e peggio dei centri sociali, si interpreta. Non risultano segnalazioni vanitose dai professionisti della delazione isterica, le Selvaggia Lucarelli, gli Alessandro Gassman, perché la figlia di una giornalista che beve un’aranciata con 4 amici può essere letale, l’incauto che esce da un supermercato è un infame da additare, le centinaia di nullafacenti a sovvenzione familiare o altrimenti pubblica sono compagni che non sbagliano. Il lockdown, insomma, è una misura politica non sanitaria, come ha detto anche il Comitato Tecnico Scientifico, solo che nelle stesse ore la Lamorgese si vantava delle migliaia di multe sparate su singoli cittadini, esercenti, ristoratori. Non fa schifo? Non è qualcosa contro cui ribellarsi, qualcosa che toglie ogni dubbio residuo circa la malafede di questo regime cialtrone?

Mettiamoci anche la solita Liliana Segre che proprio non trova requie, che nel rispolverare le fosche memorie di prigionia, sempre quelle, sempre personalizzate, non escogita una parola per accorgersi della società concentrazionaria in cui siamo stati scaricati e, ad onta, dal pulpito di una commissione autoritaria auspica nuove leggi contro l’apologia di fascismo, come non ce ne fossero già di bastevoli. Come se il bollettino dell’odio non risultasse clamorosamente sbilanciato: le sarebbe bastato farsi un giretto per i social all’inesausta Segre: da una parte gli eredi saloini o i tifosi del postfascismo plumbeo, patetici nel ricordare certi miti, nel denunciare gli eccessi partigiani, ma finiva lì; dall’altra, la solita orgia di deliri – Salvini e Meloni da eliminare su tutti – di foto e nomi ribaltati, per dire appesi a testa in giù, da piazzale Loreto, e la immancabile apologia del fucile, della rivoluzione ma contro che, in nome di che?

In nome di che, se la libertà si difende con la prigionia, se oggi il vero partigiano è quello che obbedisce al regime e, anziché in montagna, sale al piano di sopra per denunciare i ragazzini che si trovano. Ma che fa? Siamo primi nel consumo di psicofarmaci e ansiolitici, ultimi nella profilassi, e, ha appena ammesso l’Istat, un italiano su 5 ha problemi economici e comunque più di un anno fa; sono 11 milioni quelli in difficoltà, le bollette non si pagano, i mutui non si onorano, gli affitti non parliamone, aggiungiamo anche quello che l’Istat non dice ma amici nelle forze dell’ordine, in camera caritatis, sì e cioè che chi ha perso tutto finisce per muoversi necessariamente nell’alone dell’illegalità, da solo o in braccio a forme organizzate.

Un italiano su due non ha nessuna fiducia in un miglioramento e ha ragione, è già partito il battage contro le uscite, prima ancora che cominciassero: dalla stampa di regime, un solo coro contro gli incauti, gli sconsiderati, gli irresponsabili, quelli che osano servirsi della libertà appena concessa, ma per finta e Locatelli, a capo del Consiglio Superiore di Sanità, prima ha messo le mani avanti, “non siamo dei sadici”, poi ha minacciato: a metà maggio faremo i conti.

Perché siamo alle minacce, tracotanti e sempre più chiare. Ma i conti è facile farli, tra varianti indiane e recovery che ricorda già la grande rapina al treno. Strano però, con tutte le varianti che girano, mai una da centro sociale, e sì che da quelle parti l’igiene è proverbialmente precaria. Sabato primo maggio, comunque, si replica. All’insegna del lavoro, come comandano i sindacati per i quali lavorano sono i mandarini, lavora solo chi non lavora.

Max Del Papa, 27 aprile 2021

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