Lettere a Lucillo (Seneca)

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copertina opere morali seneca bur

A qualcuno potrà apparire ridicolo, anche perché chi scrive queste note nella Biblioteca liberale non ha certo la presunzione di essere colto.

La lettura è fatta alla rinfusa: non esattamente il primo libro che capita, ma il primo liberale sì.
E allora Seneca che c’entra? Niente. Ma l’arte di vivere e le sue sagge Lettere a Lucilio (la mia versione è quella mitica della Bur) non possono, diavolo, essere fonte di ispirazione solo per i Baci Perugina. Seneca ha una vita favolosa, politico, scrittore, filosofo e soprattutto maestro di Nerone. Quest’ultimo lo condannerà poi al «suicidio» che, narra la leggenda, sarà faticoso e dunque epico.

E proprio da Seneca ci dobbiamo sentir dire: «Fa che io non fugga la morte e intanto non mi sfugga vanamente la vita. Confortami di fronte alle difficoltà, di fronte all’inevitabile, allunga la brevità del mio tempo, insegnandomi che il bene della vita non consiste nella sua durata, ma nell’uso che se ne fa, e può avvenire, anzi molto spesso avviene, che proprio chi sia vissuto a lungo sia vissuto poco». Vabbè Seneca ce l’ha con i ricconi patrizi del suo tempo, dediti all’ozio, senza passioni e letture, sfruttatori di schiavi che non considerano uomini; gli stessi che lo hanno prima idolatrato e poi esiliato.

«La verità – diceva Euripode – ha un linguaggio semplice e non bisogna complicarlo». E la verità è che oggi noi viviamo «fuggendo la morte» che potrebbe portarci il virus, e nel frattempo bruciamo la nostra vita. E vale per tutte le età. Per i più anziani, per i quali un anno di vita a novant’anni ha un valore relativo altissimo, e per i più giovani che pensano, a buon ragione, che ciò che perdono non gli ritornerà più indietro. E nessuno parla un linguaggio semplice di verità: chi stiamo proteggendo? A quale prezzo? Chi ne paga le conseguenze più gravi? E ancora, sono tutti davvero disposti a fuggire dalla vita, per scansare la morte?

Certo non ci prendete troppo sul serio. Seneca si prende sul serio. Detesta addirittura perdere tempo negli spettacoli di metà pomeriggio, perché li considera volgari, è un saggio. Odia Epicuro e lo cita ad ogni lettera per un motivo molto semplice e bellissimo: «ho infatti l’abitudine di passare in campo altrui, ma come esploratore, non come disertore». C’è qualcuno là fuori nel giornale unico del virus e nel pensiero unico della pandemia, che abbia mai fatto un’esplorazione nel campo di chi pensa che la vita vada vissuta e non solo protetta?

Nicola Porro, Il Giornale 27 gennaio 2021

 

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