L'inattuale

Senza lo spettro del Russiagate, Trump sarà decisivo con Putin

Questa volta, in caso di vittoria, il tycoon avrà le mani libere per tentare una via di pacificazione con la Russia

trump putin

Dopo lo scomposto ed irrituale abbandono di Joe Biden della corsa per le presidenziali americane, la partita sembra giocarsi tra Donald Trump e Kamala Harris. L’inconsistenza politica, ai limiti dell’evanescenza, di quest’ultima lascerebbe propendere per una facile vittoria dell’ex presidente, il quale se tornasse alla Casa bianca troverebbe non pochi drammatici dossier sul suo tavolo.

Il più rilevante per il mondo è senz’altro la guerra tra Russia e Ucraina. Proprio su questa questione il ritorno di Trump a Washington potrebbe risultare decisivo. Sono noti, a chi ha occhi per osservare non coperti dalla nebbia della retorica, i tentativi del tycoon di trovare una via di pacificazione con la Federazione russa dopo decenni di post-guerra fredda. Trump ha più volte tentato di applicare il consiglio del purtroppo dimenticato Kissinger; fare con la Russia ciò che negli anni ’70 fu fatto con la Cina. Ossia sottrarre la Federazione dall’influenza cinese portandola gradualmente verso l’Occidente, esattamente come Nixon e lo stesso Kissinger fecero con la Cina di Mao, aprendole le porte del capitalismo al fine di portarla via dall’asse di potere sovietico.

Un piano ambizioso e politicamente saggio, ma purtroppo mai attuato. Così come inattuate rimasero le prospettive di un “raffreddamento” della questione ucraina; pur di giungere ad una pacificazione tra i due stati Trump sembrava disposto a riconoscere la legittimità del referendum di annessione della Crimea da parte russa nel 2014 e a far partire nuovi negoziati per disinnescare il conflitto che diversi anni dopo sarebbe deflagrato. Grandi erano le aspettative per il vertice di Helsinki del 2018 tra Putin e Trump, e per la maggior parte furono deluse.

Ogni iniziativa di Trump rivolta alla Russia veniva abortita sul nascere a causa dello spettro del cosiddetto “Russiagate”, il presunto scandalo, tuttora indimostrato, secondo cui le elezioni politiche americane dalle quali proprio Trump uscì vincitore sarebbero state influenzate dai russi. Per quanto una larga parte del mondo progressista e del partito democratico statunitense sostengano questa versione, ad oggi le indagini del procuratore speciale Robert Mueller non hanno portato a nulla. I rapporti delle agenzie di intelligence non sono stati in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il processo elettorale sia stato falsato.

L’uso di bot e troll da parte di Mosca ci sarà anche stato, ma in misura assolutamente non rilevante da inficiare il voto. Non si è mai trovata alcuna prova del coinvolgimento diretto di organi russi nelle elezioni americane del 2016. Solo supposizioni, mezze verità e fiumi di retorica. Sufficienti tuttavia per mettere Trump politicamente con le spalle al muro e impedire qualunque tentativo di conciliazione con la Russia, col pretesto di farlo passare per una concessione, e dunque una implicita ammissione, della vicinanza con Mosca. Da qui un lento precipitare delle cose, con Trump che autorizza nel 2017 l’invio dei temibili missili anticarro Javelin alle forze armate ucraine, utilizzati ancora oggi.

Il Russiagate non è stato solo uno scandalo giudiziario o un brutale tentativo di delegittimazione dell’avversario politico attraverso rapporti di intelligence lacunosi ed ingigantiti, ma un colossale impedimento nella conduzione delle relazioni internazionali. Oggi per fortuna sembra essere stato dimenticato, dunque forse una nuova fase di negoziati è auspicabile. Così come si auspica, ed è stato annunciato dal tycoon negli ultimi comizi, una maggiore vicinanza politica ad Israele, alleato storico e fondamentale degli Usa nonché punto di riferimento della potentissima diaspora ebraica americana, incredibilmente abbandonato dall’amministrazione Biden, forse influenzato dalla paccottiglia emotiva a là Pelosi.

A discapito di quanto molti pensino Trump ha dimostrato pragmaticità e cautela nella politica estera, qualità più che mai utili in questo tempo che corre sull’orlo del baratro. Ci auguriamo come sempre che il realismo vinca sulla retorica.

Francesco Teodori, 27 luglio 2024

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