Nel dibattito sulla giustizia, la fa da padrone la ricorrente proposta di separare le carriere tra giudici e pubblici ministeri. Si sostiene che tale misura sarebbe indispensabile per garantire l’imparzialità del giudice, scongiurando il rischio che questi, avendo condiviso studi, concorso e percorsi con il PM, si lasci influenzare dal rapporto di “colleganza”.
Si tratta di una rappresentazione semplicistica e fuorviante. La colleganza, in qualsiasi ambito lavorativo, non è né garanzia di accordo né veicolo di favoritismi. Anzi, l’esperienza insegna che la condivisione di ambienti professionali genera spesso dialettica, distanze interpretative e contrasti anche forti. L’idea che due magistrati, solo perché hanno superato lo stesso concorso, siano automaticamente allineati nelle scelte e negli orientamenti è un’asserzione priva di riscontri, contraddetta spesso dalla realtà.
Tra poco su nicolaporro.it l’intervento di Claudio Romiti: “Perché separare le carriere è giusto”
In qualsiasi campo, i veri legami pericolosi per l’imparzialità non passano per carriere comuni, ma per reti relazionali molto più insidiose ed assolutamente ineliminabili: amicizie personali, affinità ideologiche, frequentazioni esterne all’ambiente lavorativo, interessi opachi e, soprattutto, soggettiva propensione alla disonestà. Rapporti, questi, che si creano anche tra soggetti appartenenti a mondi professionali differenti. Del resto, giudici e avvocati provengono esattamente dagli stessi percorsi universitari e sono inseriti negli stessi contesti culturali. Eppure nessuno propone – giustamente – di vietare tali incroci formativi.
La separazione delle carriere è, quindi, una risposta sbagliata a una domanda mal formulata. Non è dividendo le strutture che si garantisce la terzietà del giudice, ma rafforzando la cultura giurisdizionale, l’etica professionale e i meccanismi di controllo (anche esterno).
Insistere su questo tema, spacciandolo per emergenza istituzionale, rischia di suscitare una deleteria contrapposizione tra organi dello Stato e non risolve i problemi reali della giustizia. È piuttosto una proposta che ha il sapore, già visto, del marketing politico e legislativo, non della riforma utile a qualcosa.
Giorgio Carta, 31 marzo 2025
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